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Immagine del redattoreFranz Foti

Aborto, USA: cosa succede quando si nega un diritto

Aggiornamento: 8 ott

Sono passati solo 8 mesi da quando è pienamente entrata in vigore la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti in merito all'aborto, negando l'esistenza delle base costituzionali per proteggere questo diritto a livello federale, e quindi rimandando la materia alle decisioni dei singoli stati dell'Unione. Dopo l'iniziale - e comprensibile - scalpore destato da questa pessima decisione, che ha messo a repentaglio la salute e la vita stessa di milioni di donne americane, come spesso accade il dibattito è andato un po' spegnendosi, a livello mediatico. Ciò nonostante, la lotta dei progressisti per il diritto di scelta delle donne, e l'interessamento dello stesso presidente Biden - che solo qualche giorno fa nel suo Discorso sullo Stato dell'Unione ha ribadito il suo impegno per contrastare la deriva antiabortista - hanno portato molti stati, soprattutto quelli governati dai democratici, a promulgare leggi che garantiscano la possibilità di abortire a tutte le donne che dovessero averne bisogno. Al contrario, però, ci sono ben 13 stati in cui grazie alla sentenza della Corte Suprema, l'aborto è di fatto illegale, e altri in cui è illegale dopo solo sei settimane dal concepimento, un intervallo così breve che molte donne nemmeno sanno di essere incinte prima di averlo passato.


In un suo recente articolo, la giornalista del New York Times Kate Kelly ha proposto il caso-studio della Carolina del nord. In questo stato l'aborto è consentito nelle prime venti settimane dal concepimento, e nonostante i tentativi della maggioranza repubblicana nel parlamento statale, nessuna legge più restrittiva è stata ancora approvata, e il governatore - il democratico Roy Cooper - ha annunciato sin da agosto che metterà il veto a qualsiasi tentativo di restringere la libertà delle donne.


Grazie a questo, è alla vicinanza con diversi stati antibortisti, ha fatto sì che la Carolina del Nord diventasse una sorta di santuario per il diritto delle donne all'autodeterminazione. Con non pochi disagi e difficoltà per il suo sistema sanitario. In solo pochi mesi, infatti, gli aborti in NC sono aumentati del 37%, i medici nelle cliniche abortive lavorano senza sosta, al punto da arrivare a praticarne 35 al giorno. Un disegno satanico della cabala di Hillary Clinton? L'ennesima follia woke democratica? Macché, semplicemente le donne del Tennessee, del Kentucky, dell'Alabama, dalla Georgia, persino dal lontano Texas, si mettono ogni giorno in macchina per raggiungere questo stato, viaggiando per ore - a volte anche 20 ore, per la precisione - e spesso dormendo nello stesso veicolo davanti alle cliniche, pur di poter di esercitare il diritto che i propri stati negano loro.


Questo, oltre a portare i medici a condizioni lavorative estremamente stressanti, ha ovviamente creato un vero e proprio ingorgo, arrivando a portare il tempo di attesa per un'interruzione di gravidanza anche a un mese, per una procedura in cui - non sfuggirà a nessuno - il fattore temporale è essenziale. Non solo, ha anche esacerbato ulteriormente lo scontro tra antiabortisti e attivisti per i diritti delle donne, con continue manifestazioni davanti alle cliniche, minacce di ogni tipo ai medici che vi operano, e il solito panorama cui la destra americana ci ha abituato da ormai molti anni.


Ecco, a fronte di tutto questo, nel leggere in questi giorni su certa stampa gli autoelogi della nostra prima ministra, che si erge a paladina dei diritti delle donne - in particolare del diritto a NON abortire (?) - viene inevitabile domandarsi se quello che vediamo oltre oceano non sia, ancora una volta, un'anteprima di ciò che ci aspetta anche in Italia: già oggi il 64% dei ginecologi è obiettore di coscienza - e in diverse regioni si toccano picchi molto più alti -, e solo i più distratti non si saranno accorti che la destra oggi al potere ha in progetto di restringere e limitare in ogni modo possibile il diritto all'aborto, come già raccontato da Alessia Ferri in "Libertà condizionata".


Avvicinandoci all'8 marzo, l'Italia che dobbiamo immaginare per il futuro è una cui saranno le donne calabresi, o campane, o marchigiane, a doversi mettere in macchina verso la Francia o la Svizzera, per vedere riconosciuto il loro diritto di autodeterminazione?

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