Pur originariamente ispirati dal fascismo, i nazisti erano un po’ più furbi: nella Francia occupata facevano incetta di opere d’arte e sbevazzavano champagne a più non posso, non è che fossero più di tanto disturbati dalla non-tedeschità delle cose (perdonate il neologismo). Settant’anni dopo, gli eredi di quella genìa a questo punto anche un po’ tonta, oltre che, come stabilito dagli eventi, infame e codarda, sono ancora fermi lì. Giusto l’altro giorno l’Huffington Post ha fatto un pezzo per ricordare la dipendenza del cosiddetto made in Italy agroalimentare dalle materie prime estere, da cui risulta che è molto cosiddetto e poco Italy: “vacche francesi, maiali tedeschi, pecore ungheresi”, a quanto pare siamo autonomi solo in fatto di polli, ma forse perché in quel caso sono proprio i fascisti, che ne ingrossano le fila. Poi, volendo approfondire, altro ci sarebbe da dire sulle olive, sul grano, sui pomodori, per non parlare di quei beni voluttuari che sicuramente anche La Russa magari si concede, tipo cacao e tabacco, o ancora i chip elettronici, le terre rare, e l’elenco potrebbe proseguire all’infinito. Nemmeno ai tempi del Duce l’autarchia funzionava particolarmente bene, però almeno i suoi ministri non pretendevano di rappresentare le aziende italiane che vorrebbero vendere il parmigiano in tutto il mondo. È un’autarchia a senso unico, o almeno così vorrebbe essere.
Delle demenziali decisioni riguardanti la carne sintetica, della propaganda contro le farine derivate da insetti, delle sportellate in faccia prese sulla questione dei biocarburanti, tanti hanno già scritto e pure noi lo abbiamo fatto pochi giorni fa proprio sul blog di Ossigeno. Ma, allargando un pochino il ragionamento, una domanda sorge spontanea: posto che evidentemente non riescono a fare a meno di essere fascisti, è proprio obbligatorio che siano pure cretini? E qui bisogna resistere alla fortissima tentazione di rispondere di getto, ok, ma se si fa il grande sforzo di mettersi in quegli sgradevoli panni, la questione diventa antropologicamente interessante, e se ne coglie la strategia a lungo termine, che è fine al netto della grana grossissima con cui pazientemente viene composta giorno per giorno. Prendiamo l’uscita del solito La Russa sui fatti di via Rasella: c’è una fetta spaventosamente rilevante di italiani, diciamocelo, che non ha proprio le idee chiarissime sulla storia della nostra Repubblica, eufemismo per dire che sostanzialmente non sanno un cavolo di niente. È gente a cui si può tranquillamente raccontare, ribadendo e martellando gli stessi concetti anno dopo anno finché non diventano una nuova verità, che i nazisti erano buoni, che i partigiani erano sanguinari, che Mussolini ha governato bene, che ci ha dato addirittura le pensioni, che tutto funzionava meglio. Dai e dai, un giorno dopo l’altro.
E, in mezzo, ci si ficca roba che c’entra poco o a volte addirittura nulla, così si raggiunge pure quel pubblico elettorale che magari i fascisti in quanto tali non li voterebbe, ma è convinto di votare chi protegge le vacche italiane dai misteriosi intrugli degli stranieri, o chi difende la famiglia tradizionale, anche se guarda caso sono tutti divorziati, e bum, così facendo si è creata una macchia larga e indistinta, abbastanza grande da coprire tutto. Ma proprio tutto, non solo il povero Cipputi o la povera casalinga di Voghera, ma anche l’opinione pubblica, la scuola, i posti di lavoro, l’informazione, luoghi in cui improvvisamente se si parla della Resistenza quello è un argomento politico e “di parte”, talk show in cui si invita qualcuno per spiegare che alle fosse Ardeatine non sono morti generici “italiani” ma dissidenti e perseguitati, e un altro da contrapporre per par condicio, che invece viene a dire che beh, bah, no, però.
Così, ci si sveglia una mattina e si scopre che questa roba, questo ammasso, è maggioranza nel Paese. E non ci si può credere, che ancora dobbiamo avere a che fare con sta rottura de cojoni de fascisti. Espressione che davvero mai fu più azzeccata, non a caso People ci ha fatto pure uno shopper. Solo che, con quello che ci toccherà ancora sopportare nei prossimi anni, ripensandoci, forse ci servirà una valigia. Di quelle grosse.
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