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Immagine del redattore Paolo Cosseddu

Auguri

La bolla dei contatti social restituisce in questi ultimi giorni un dibattito feroce, incredibilmente polarizzato sui fatti riguardanti la crisi di Governo. Si dice che gli algoritmi, sui social, hanno il difetto di proporre agli utenti opinioni simili alla propria, contribuendo così a confermarle: evidentemente siamo noi di Ossigeno a esser strani, perché invece proprio non riusciamo a schierarci né con chi difende a spada tratta le scelte di Conte e del M5S, né con chi sta con Draghi senza se e senza ma. Spiace.

Certo, sappiamo che la politica è fatta di cambi d’opinione anche repentini e non sempre coerenti, ma la storia di questi ultimi anni, in particolare nell’ultima legislatura, è stata un tale continuo ribaltamento di tutto e di tutti che non c’è nessuno, oggi, dai principali leader alle comparse, che può permettersi di puntare il dito verso qualcuno senza puntarlo prima verso se stesso.

A crisi aperta, provare a fare un elenco di tutti i torti pregressi imputabili di chi oggi elenca le proprie ragioni può diventare un esercizio interminabile. E quindi tanto vale risparmiarselo.


Ma come si fa ad assegnar torti e ragioni, come si fa a prendere le parti di qualcuno quando tutti, nessuno escluso, sono disposti a rimangiarsi le cose che dicevano appena il giorno prima, pur di ricavare qualche vantaggio? Non si è credibili. Del resto, per essere credibili, ci vorrebbe la politica, ve la ricordate la politica? E invece no, perché se date retta a chiunque, dal notista politologo del grande giornale al pizzicagnolo che vi sta affettando un etto di crudo, tutti vi spiegheranno che se siamo in questa situazione è per colpa della politica. Le cose stanno davvero così? Proviamo a riavvolgere il nastro: siamo nel 2022, e da almeno 11 anni l’Italia è governata dalle larghe intese. Non sempre così larghe, a volte medie, ma comunque. Dal 2011, con l’esperienza del Governo Monti (da cui potremmo iniziare per suggerire un nuovo tipo di numerazione, tipo Larghe Intese I): un Messia col loden, partito altissimo, che si è incartato dopo solo un annetto. Poi nel 2013, dopo la famosa “non-vittoria” del Pd di Bersani, che non gli consente di governare, e un tentato accordo con Grillo – in streaming – che finisce malissimo, arriva Letta che invece l’accordo con il Pdl di Berlusconi lo trova e diventa Presidente del Consiglio (Larghe Intese II). Resta in carica la bellezza di 300 giorni, durante i quali le intese da larghe si restringono, se ne va Berlusconi ma resta Alfano che resterà anche dopo, con l’arrivo di Renzi, che di giorni ne dura un migliaio (Larghe Intese III), e addirittura con Gentiloni (Larghe Intese IV). Finisce un’altra legislatura, si torna a votare con una legge elettorale fatta apposta per far perdere i grillini, e ovviamente i grillini vincono largamente, anche se non così tanto da poter fare maggioranza da soli. Seguono lunghe settimane di contrattazioni che a tratti sembrano senza speranza quando infine si mettono d’accordo con la Lega, pescano un avvocato mai sentito prima come premier e oplà, nasce il Governo Conte (Larghe Intese V), dura 15 mesi e casca al Papeete mentre Salvini chiede pieni poteri. Questa volta sembra davvero impossibile ricomporre il quadro e invece miracolo, Pd e Articolo 1 trovano la quadra col M5S e danno vita al Conte 2 (Larghe Intese VI), cui poi si aggiunge Italia Viva di Renzi che nel frattempo si è scisso per i fatti suoi. E siamo se non all’oggi allo ieri, con Renzi che fa cadere il Conte 2 e prende vita con l’appoggio di quasi tutti esclusa la Meloni e poco altro il governo Draghi (Larghe Intese VII).


E siamo a sette: sette governi nati da forze che se ne sono dette di tutti i colori, che hanno poi governato insieme, che hanno cambiato idea su tutte le cose che dicevano agli elettori in campagna elettorale, o che se anche non hanno cambiato idea certamente hanno poi concretamente fatto il contrario. E no, non è il vecchio argomento populista del “Governo non eletto dal popolo” e bla bla bla. Siamo una democrazia parlamentare, lo sappiamo, certo. Ma tra “eletto dal popolo” e “Franza o Spagna purché se magna” dovrebbe pur esserci una via di mezzo, o no? E invece no, siamo ancora qui a invocare l’“uomo della provvidenza”, che “metta d’accordo tutti”, che faccia “quel che c’è da fare”. Cosa? Non importa, “lasciatelo lavorare”, salvo poi incazzarsi come bestie nello scoprire che col tuo stipendio fai una vita da fame e non aumenterà perché banalmente non c’è nessuno che si alzi e dica che così non va bene, e che non cambi idea sull’onda del momento. Allora sì, che servirebbe la politica, solo che non c’è più perché continuiamo a dire che non serve. E già qualcuno auspica che si vada avanti così anche nella prossima legislatura. Beh, auguri.

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