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Immagine del redattoreStefano Catone

Ci saranno ancora boschi tra vent'anni?



Solo con le proprie gambe. In Val Codera si arriva così. Niente auto, niente impianti di risalita, solo una lunga e curatissima mulattiera, che dal fondovalle si inerpica con una pendenza costante. Sembra non portare da nessuna parte finché, dopo un'ora abbondante di cammino, appaiono le prime costruzioni: una piccola chiesa, un cimitero, dei ricoveri. E con il loro apparire si apre la valle e si svela il segreto dell'equilibrio tra uomo e natura. 

 

La Val Codera si incunea tra le più conosciute Valtellina e Valchiavenna, addentrandosi verso il cuore delle Alpi lombarde. Siamo a poco più di un'ora e mezza di treno da Milano e a una decina di ore di cammino dalla Svizzera. Durante il ventennio gli scout ribelli delle "Aquile randagie" organizzarono qui i loro campi, e OSCAR, associazione clandestina nata nel loro seno, organizzò da qui gli espatri verso la Svizzera. La Val Codera è la valle degli scout ed è anche la valle di Enrico Pomina, partigiano della 55esima brigata Rosselli che qui fu ucciso - e il suo corpo venne lasciato esposto per giorni - mentre la brigata era in ritirata. Ce lo ricorda una lapide: sono passati ottant'anni da quell'inverno. 

 

Torniamo in Val Codera in una giornata autunnale perfetta, in cui il sole si riflette nelle foglie disegnando e colorando paesaggi da cartolina. "Il bostrico, da queste parti, sembra non aver ancora fatto grandi danni", penso tra me e me, memore degli abeti rinsecchiti che la scorsa primavera ho visto a decine in una valle confinante e parallela. In linea d'area saranno poche centinaia di metri, ma ce ne sono almeno un migliaio di dislivello a dividerci. Era uno sconosciuto, per me, il bostrico, finché le prime fiamme rosse non hanno preso spazio in alcuni boschi della Lombardia e, soprattutto, finché le bozze di Sottocorteccia. Un viaggio tra i boschi che cambiano non mi hanno invitato a guardare in maniera diversa a questo piccolo coleottero grosso come un chicco di riso. O meglio, a guardare a lui per osservare come cambiano i boschi e come cambiano e cambieranno le relazioni tra noi umani e i boschi. E quindi, inevitabilmente, a come sta cambiando il clima a causa dell'uomo. 

 

In questi giorni sono in corsa i negoziati della Cop29 a Baku. I media mainstream non ne parlano. Mi affido quindi alle cronache di giornalisti specializzati e di attivisti climatici. Le cose sembra che andranno molto male. Per il clima, per le nostre città, per le nostre montagne, per i boschi, per come tutto ciò sta avendo ripercussioni sulle nostre vite - alluvioni, siccità - e sulle cose che più ci piacciono, che più ci fanno stare bene. Potremo ancora, tra vent'anni, goderci i colori dei larici in autunno? Potremo ancora, tra vent'anni, affrontare le estati in città? Potremo ancora, tra vent'anni, vivere tranquillamente sulle nostre coste? Tra vent'anni, e qui nessuno ne parla, e i pochi che ne parlano vengono etichettati come pazzi ideologizzati, come portatori di sventura, come sabotatori di un'economia capitalistica che da anni ormai ci mostra la sua insostenibilità.

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