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Immagine del redattoreDavide Serafin

Come far sparire il lavoro povero, “for dummies”



La scorsa settimana è stato presentato, con un certo ritardo rispetto al solito, il XXII Rapporto Annuale INPS, nel quale gli autori non hanno mancato di dire la loro - dati alla mano - sulla questione del lavoratori in condizioni di povertà, altrimenti detti WP, working poors ("lavoratori poveri").

L’analisi di INPS parte dal presupposto che il livello di WP come individuato in altri tre recenti lavori istituzionali, ossia i dati Eurostat e la Commissione Garnero, il Rapporto Plus di INAPP e il Rapporto ISTAT-Bes, è stabilmente elevato, oscillante tra il 10,1% e il 13,2%. Ma il dato nella sua dimensione aggregata non fornisce di per sé sufficienti informazioni per garantire adeguata conoscenza di questi lavoratori. INPS ha “arricchito” - è questo il termine utilizzato - tali evidenze mediante l’analisi dei dati amministrativi relativi alle retribuzioni dei dipendenti delle imprese private extra-agricole nel mese di ottobre 2022, identificando l’area del WP entro il limite del 60% della retribuzione mediana, tenendo sempre distinti i lavoratori full time da quelli part time. Su 13 milioni e 830 mila lavoratori individuati, i WP rappresentano il 6,3% del totale, ossia circa 872 mila individui. Una soglia praticamente dimezzata, che scende ancora di più - al 3,6% - se è considerata solo l’area dei lavoratori full time. Come è possibile? Scrive INPS nel XXII Rapporto: "I WP sono molto più consistenti tra i part time (517.200, una quota pari al 13,2%) rispetto ai full time (354.600, una quota pari al 3,6%). Come era lecito attendersi, la quota di WP è maggiore tra i dipendenti discontinui che tra quelli continui: nel FT [full time] 2,3% tra i lavoratori continui contro l’8,8% tra i discontinui; nel PT [part time] 12,6% tra i continui contro il 15,2% dei discontinui".


Dei 355 mila WP full time, la maggior parte si riferisce a lavoratori intermittenti e apprendisti.

Il punto cruciale è nei valori di soglia ricercata: il 60% del salario mediano è stabilito pari a "24,9 euro per i part time e 48,3 euro per i full time, corrispondenti rispettivamente a 588 e 1.116 euro netti mensili". Infatti, la retribuzione mediana giornaliera è individuata rispettivamente in 41,5 euro per il part time e 80,9 per il full time. Un livello ben al di sotto di quanto rilevato nel XXI Rapporto INPS, in cui la mediana del full time / full year era pari a 93 euro (31.400 euro per 13 mensilità e 26 giorni lavorativi al mese, cfr. Tab. 1.20 XXI Rapporto INPS, 2022). Va da sé che il Rapporto 2022 era riferito a circa 19,3 milioni di lavoratrici e lavoratori, il Rapporto 2023 invece riferisce solo a 13,8 milioni di lavoratrici e lavoratori del settore privato, esclusi operai agricoli e domestici. È evidente l’opera di ritaglio della base dati.

Le conclusioni dell’analisi, poi, sono strabilianti: "I WP risultano quindi sotto il profilo numerico una componente marginale dell’insieme del lavoro dipendente. Ciò non esclude (anzi) che la loro presenza sia concentrata in aree “borderline” rispetto ai “normali” rapporti di lavoro dipendente: partite IVA attivate in alternativa all’impiego come dipendente; posizioni formalmente riconducibili a istanze di completamento della formazione professionale (stagisti, praticanti etc.) e idonee a camuffare rapporti e aspettative simili di fatto a quelle sottese al “normale” rapporto di lavoro dipendente; posizioni di lavoro autonomo occasionale o parasubordinato. Senza dimenticare le varie tipologie di lavoro nero, integrale o associato a posizioni parzialmente irregolari".


Attenzione alle parole: i WP sono “numericamente” marginali, ma non si esclude che siano concentrati in aree “borderline”. Conclusione facile facile, basta selezionare i dati. Come si giustificano i quasi 6 milioni di lavoratori in meno considerati nella statistica, da un anno all’altro? Perché è stata ridefinita la platea dei lavoratori? Perché ritenere 517 mila lavoratrici e lavoratori poveri part time non ascrivibili alla causa dei bassi livelli salariali? Non sono resi noti i dati sulla rilevanza della riduzione di orario, pertanto la loro esclusione pare quantomeno arbitraria.

Tutta l’analisi sembra orientata a sconfessare la necessità di una legge sul salario minimo. Se fosse genuina, cioè se considerasse per davvero l’intero settore del lavoro dipendente privato, fornirebbe l’esatta fotografia del lavoro povero, quanta parte è dipeso dal salario e quanta dalla bassa intensità lavorativa, e infine ci darebbe una misura di quanto una eventuale legge sul salario minimo possa agire al cospetto dei WP. Ma il rapporto è viziato da una base dati - per così dire - ritagliata ad hoc, forse per aiutare i sostenitori delle tesi contro il salario minimo medesimo.

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