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Immagine del redattore Paolo Cosseddu

Ganeshamoortacci nostri


Dopo lo spettacolo sconfortante a cui ci è toccato di assistere negli ultimi giorni, dovremmo chiederci: davvero possiamo andare avanti così? Non è una questione solo politica, non ha a che fare solo con chi al momento governa il Paese, e se è per questo non è un problema che riguarda solo l’Italia, ma tutta l’Europa, e gli Stati Uniti, e l’Occidente in generale.

 

Troppo? Mica tanto: da una settimana gli italiani sghignazzano di Gennaro Sangiuliano, della sua inadeguatezza, del suo essersi rovinato per una questione pruriginosa, di esser stato beccato e di aver gestito disastrosamente quel che è venuto dopo. Eppure, l’omino che tanto ridicolo ha suscitato in questi giorni è un architetto dell’Occidente contemporaneo. Uno minore, per carità, ma a vederlo come lo si è visto verrebbero remore anche a fargli parcheggiare l’auto, invece stiamo parlando di qualcuno che ha avuto una lunga e di gran successo carriera di giornalista, che è stato direttore di testate nazionali e - non poteva mancare - del Tg2, che ha contribuito a costruire il successo del primo partito del Paese, ed è stato infine ricompensato con una poltrona ministeriale. Finché è durata: ma chi verrà dopo di lui non sarà molto meglio, perché questo è il tipo di gente che ci guida.

 

Questo è il destino che ci siamo scelti, come italiani, di più, come civiltà, che può sembrare un’iperbole, ma sfortunatamente non lo è. Da almeno trent’anni, forse da quando è caduto il muro di Berlino, e hanno ripreso a farsi vivi quei fantasmi del passato che evidentemente stavamo tenendo buoni solo perché nel frattempo c’era un altro nemico da combattere. Senza sapere che il nemico vecchio preparava un ritorno in grande stile. Quindi eccoci, tutto un continente che rivendica di aver inventato il diritto, la democrazia, la civiltà, la libertà, in primis l’Italia, dove però il dibattito più importante degli ultimi anni non è stato su Ventotene, ma sulla carbonara: e non è un caso, al limite è un indice. Una larghissima parte dell’elettorato vota e sceglie da chi farsi governare sulla base di un singolo, assoluto precetto, architrave ideologico su cui si costruisce tutto il resto dell’impianto: che dobbiamo difenderci gli stranieri, causa di tutti i nostri mali, minaccia alla nostra identità. Rappresentata, ai suoi massimi livelli, da persone uguali a Sangiuliano, uno convinto che Napoli sia stata fondata due secoli e mezzo fa: e se questa è un’identità, è piuttosto confusa.

 

Eppure, abbiamo appena visto le Olimpiadi, e stiamo seguendo le Paralimpiadi, che dovrebbero averci dimostrato abbastanza chiaramente dove saremmo, come italiani ed europei, se davvero fossimo rimasti così sigillati tra le nostre quattro mura. Un continente di consanguinei, dove dopo qualche generazione iniziano a manifestarsi strane mutazioni. O forse si manifestano già. Dove per rendere appena meno scandalose le pratiche per diventare italiani bisogna raccogliere le firme e presentare un referendum, come quello sulla cittadinanza lanciato in questi giorni. Dovrebbero bastare le battute di Rigivan Ganeshamoorthy, per far sparire sotto a un sasso chi bercia di italianità e di valori europei, per farci dire grazie, grazie per essere qui, per salvarci da noi stessi, meno male che ci siete, che avete scelto di venire proprio qui. E invece no, preferiamo tenerci i ganeshamoortacci nostri: mandiamo al governo i fasci, i razzisti, e soprattutto i pericolosi idioti; facciamo l’abitudine ai discorsi più aberranti sui respingimenti e sulle deportazioni, e da destra a sinistra tutta la politica si adegua con poche differenze tanto che persino in Germania, dove dopotutto c’è un governo di centrosinistra, spunta la proposta di realizzare campi di remigrazione in Ruanda. Presentata da un liberale, alla faccia del pensiero che rivendica di aver plasmato l’Occidente.

 

Mario Draghi, che ha realizzato per conto della Commissione Europea il rapporto sulla competitività di prossima uscita, l’altro giorno ha detto che “se non si fanno queste riforme, se non si interviene seguendo questa direzione, l’Europa è finita. Lo ripeto: è finita. Ve lo dico perché questo è il mio incubo più frequente”: lui si riferiva al suo ambito, quello economico, ma la profezia vale in più sensi, e andrebbe estesa. O noi, come Occidente ricco, ci apriamo alle altre culture e smettiamo di averne paura, e di temere le persone che se le portano appresso, o come civiltà siamo finiti. Ripetiamo: finiti.

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