top of page
  • Immagine del redattoreRaffaele Oriani

Gaza, la scorta mediatica cambia pelle


 È scesa una grande calma su Gaza. O meglio, sulla scorta mediatica ai massacri di Gaza. Mercoledì 3 luglio, sotto la solita surreale testatina “Guerra Israele-Hamas”, Repubblica titola: “Probabile incontro tra Biden e Netanyahu entro il mese”. Succedono talmente poche cose che ci si dà appuntamento a trenta giorni. Qualche giorno prima, il Corriere aveva scritto che “La Striscia è ormai sotto controllo”. Controllo di chi? Controllo su cosa? Si controlla continuando a massacrare, affamare, cacciare un popolo intero da nord a sud, da sud a nord, e poi di nuovo da nord a sud. Nove mesi di nomadismo sotto le bombe hanno schiantato i palestinesi, e la speranza degli occupanti israeliani è che a ogni cambio di marcia se ne perda qualcuno. Effettivamente ai 46.000 morti contati dall'ong svizzera Euro Med Human Rights Monitor, Save the Children aggiunge migliaia di bambini dispersi: potrebbero essere ospiti di una tenda sconosciuta, detenuti in qualche prigione israeliana, o deceduti sotto le macerie. Ma tutto questo quasi non esiste più. Dopo mesi di monitoraggio artigianale della scorta mediatica ai massacri di Gaza, da qualche giorno non c'è più nulla da monitorare. L'esercito israeliano ordina l'evacuazione da Khan Younis, l'aviazione colpisce da nord a sud, in rete è il solito calvario di civili fatti a pezzi da bombe e carri armati. Ma il nostro mainstream ha ormai archiviato la pratica.

 

La scorta mediatica smobilita. In un cono d'ombra più scuro del solito finiscono allora importanti rivelazioni e rivendicazioni. Oggi Il Manifesto ha una meritoria prima pagina sull'universo carcerario israeliano, Repubblica e Corriere nemmeno un trafiletto. Eppure la rivista israeliana +972 Magazine, che da mesi fa uno straordinario lavoro d'inchiesta sulla fabbrica dello sterminio, ha appena pubblicato la testimonianza di un avvocato che è potuto entrare nel famigerato compound militare di Sde Teiman. Nel centro di detenzione nel Negev sono stati reclusi almeno 4000 palestinesi rapiti a Gaza, almeno 35 dei quali non sono sopravvissuti: l'avvocato denuncia condizioni di detenzione “peggiori di Abu Ghraib o Guantanamo”, con detenuti costretti per giorni in silenzio, al buio, sempre ammanettati. Quasi in contemporanea alle rivelazioni di +972, il direttore del servizio di sicurezza interno Ronen Bar dichiara che i detenuti palestinesi nelle carceri israeliane sono ormai 21mila (più del doppio di quanti se ne stimassero), e che le condizioni di detenzione “sono al limite dell'abuso”: “Questa situazione rischia di mettere in pericolo i funzionari israeliani all'estero esponendoli all'azione di tribunali stranieri”. I prigionieri palestinesi sono talmente tanti che pongono un problema di capienza al sistema penitenziale israeliano. E qui si inserisce la terza voce che la nostra grande stampa preferisce oscurare: il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, leader messianico che auspica il ritorno dei coloni israeliani nella Striscia, riconosce che i palestinesi prigionieri sono troppi e le condizioni di detenzione sempre più inumane. Ma offre una soluzione al primo problema, e rivendica il secondo come un merito personale: “Da quando sono ministro, uno dei miei principali obiettivi è stato di peggiorare le condizioni dei terroristi detenuti”. Quanto all'aumento esponenziale della popolazione carceraria, la ricetta di Ben Gvir non potrebbe essere più drastica: “Ho proposto una soluzione molto più semplice della costruzione di nuove carceri, ovvero l’introduzione della pena di morte per i terroristi”. Così un importante ministro di un Paese nostro alleato.

 

Dall'inizio dell'assalto a Gaza il mainstream mediatico si è impegnato a neutralizzare, razionalizzare, contestualizzare gli aspetti più inguardabili della violenza israeliana. Ma oltre ai massacri, sono passati sotto un silenzio pressoché assoluto una serie di corollari repressivi. Il maltrattamento dei detenuti palestinesi è uno di questi. I reporter israeliani di +972 Magazinedocumentano un sistema di reclusione e tortura che le parole del capo dello Shin Bet confermano e quelle del ministro Ben Gvir addirittura rivendicano. Ma la grande stampa italiana non registra. Se ogni notizia sugli ostaggi israeliani è rilanciata, ogni notizia sui prigionieri palestinesi è oscurata: dopo nove mesi di mezze verità, il mancato racconto dell'inferno concentrazionario israeliano è l'ennesima tacca al palmares di #GazaScortamediatica.

 

Comments


bottom of page