top of page
Immagine del redattoregiuseppe civati

I libri degli altri


Promuovere la lettura è giusto, dilettevole e anche utile, perché un libro legge l’altro e i lettori ne leggono di più. E fa bene a tutti anche consigliare libri che non si pubblicano, perché – appunto – li pubblicano gli altri. È proprio un’idea di mondo diversa rispetto alla competizione fine a se stessa, quella a cui riferirsi.


I libri non sono in concorrenza tra loro, così come il mercato editoriale va pensato in un modo del tutto diverso da come siamo abituati a farlo.


«Bambino, solevo meravigliarmi del fatto che le lettere di un volume chiuso non si mescolassero e perdessero durante la notte», scrisse Borges in un suo celebre racconto. In verità, i libri funzionano così, perché se non ci fossero pagine che nella nostra testa si mescolano con altre pagine, grazie all’immaginazione e allo studio, i libri, come li conosciamo, non esisterebbero.



I carnefici del Duce

Eric Gobetti

Laterza, 2023


Un libro dedicato a chi straparla di identità nazionale omettendo alcuni elementi fondamentali della nostra storia recente.


Partiamo dalla lucida introduzione che andrebbe letta anche nelle sedi istituzionali dove prevalgono, ultimamente, forme a volte grottesche di un revisionismo sciatto e tendenzioso – a cui trovo necessario si risponda con puntualità, perché al di là della grettezza quella messa in campo da parte dell’estrema destra è una vera e propria strategia politica ed elettorale.


Ci vorrebbe una lettura pubblica, ad alta voce, proprio quella voce che si è persa, nel corso degli anni, sulla storia del fascismo e della sua violenza politica, del colonialismo italiano ai tempi del cosiddetto impero, dei suoi crimini e delle sue efferatezze. Per il suo valore storico e però anche per la comprensione di ciò che accade nella vita del nostro paese oggigiorno.


Gli episodi e i personaggi – che ricorrono e che si intrecciano tra loro, in una compiuta rassegna della carneficina coloniale del fascismo, dai Balcani al Corno d’Africa – di cui Gobetti ricostruisce il profilo ci riportano a una storia che abbiamo rimosso e, in alcuni casi, negato. All’insegna della “continuità dello Stato” e di un approccio autoconsolatorio, che ha a lungo insistito sulla diversità degli italiani (brava gente!) rispetto alle altre milizie che si trovarono, allora, sul campo. I cattivi erano comunque gli altri, i nostri nemici, partigiani e ribelli che non si sottomettevano ai nostri soprusi. Scrive Gobetti: «A questo stereotipo così radicato contribuisce la quasi totale rimozione dei crimini di guerra commessi dagli italiani durante l'epoca fascista. Blocchi psicologici, meccanismi di autoassoluzione, necessità di scagionare alcuni individui di potere direttamente coinvolti, esigenze economiche e sociali legate alla ricostruzione e alla pacificazione nazionale, logiche politiche della Guerra fredda e dell'anticomunismo possono spiegare questo oblio nei primi decenni del dopoguerra.»


Il colonialismo è soprattutto “il problema” che non si intende mai affrontare. A maggior ragione oggi, epoca di immigrazione verso il nostro Paese, in cui fare i conti con il passato significherebbe fare i conti con il presente. Una storia di bianchi e di neri, allora come oggi. Ed è soprattutto vero perché i migranti che giungono nel nostro paese sono spesso persone che provengono da aree geografiche che abbiamo conquistato e depredato, con la violenza più indiscriminata, come ci ha ricordato Alessandro Leogrande, e su cui il mondo occidentale continua a mantenere un controllo politico ed economico decisivo.


Il razzismo politico di allora ha cambiato forma ma non è certo scomparso. La convinzione di una supremazia bianca attraversa l’opinione pubblica e lambisce i banchi del governo. Si bercia di razze e di etnie con una leggerezza che per la nostra convivenza rappresenta il pericolo più grande.


Anche il rimosso per non dire l’oblio fanno parte di quell’uso politico della storia su cui Gobetti si sofferma, non solo per denunciare crimini e oscenità ma anche per descrivere quello che nelle pagine conclusive descrive come «modello politico», un modello criminale che segue precise linee e strategie e che non si è certo esaurito alla fine della Seconda guerra mondiale.


Si sente spesso che è fondamentale rivendicare la nostra “tradizione” e sappiamo quanto sia spesso artificiosa e selettiva questa operazione. Per Gobetti e per tutti noi sarebbe il caso di conoscere la nostra storia. Non è curioso che i tradizionalisti, per dir così, siano i primi a dimenticarla o a ometterne elementi salienti, nel bene e soprattutto nel male.


Farlo non è un esercizio storico, è un esercizio politico, nel senso più alto e nobile del termine.




Post recenti

Mostra tutti

Comments


bottom of page