«Più ci avviciniamo al completamento della bomba, più biglie finiscono nella ciotola. Ma nel film non si fa cenno alla provenienza di due terzi di quell'uranio: una miniera profonda 24 piani nel Katanga, un'area ricca di minerali nel sud-est del Congo.
Mentre sullo schermo le biglie riempivano la ciotola, io continuavo a vedere quello non era rappresentato nel film: i minatori africani che trasportavano terra e pietre per smistare a mano i cumuli di minerale radioattivo.»
In un interessantissimo pezzo pubblicato da Wired l'altro ieri, Ngofeen Mputubwele racconta di come vedendo Oppenheimer, il nuovo film di Christopher Nolan dedicato all'invenzione della bomba atomica, non abbia potuto fare a meno di pensare ai racconti di suo padre sullo sfruttamento del Congo per l'estrazione dell'uranio che gli Stati Uniti avrebbero poi usato per la bomba (o, meglio, le bombe).
Leggendo il pezzo è inevitabile, a nostra volta, non pensare a quanto racconta Siddharth Kara in Rosso Cobalto, che viene estratto oggi proprio nel Katanga, la stessa regione oggetto della corsa all'uranio di 80 anni fa.
Scrive infatti Kara:
«L’area del Katanga, nell’angolo sudorientale del Congo, contiene più giacimenti di cobalto di tutti quelli del resto del mondo messi assieme. Questa regione trabocca anche di altri metalli pregiati, tra cui il rame, il ferro, lo zinco, lo stagno, il nickel, il manganese, il germanio, il tantalo, il tungsteno, l’uranio, l’oro, l’argento e il litio. I giacimenti sono sempre stati là, rimanendo dormienti per eoni prima che le economie estere rendessero quelle terre di valore. L’innovazione industriale ha innescato la domanda di un metallo dopo l’altro, e in qualche modo si è scoperto che erano tutti nel Katanga. Il resto del Congo abbonda allo stesso modo di risorse naturali. Le potenze straniere hanno penetrato ogni centimetro di questo Stato per estrarne le cospicue forniture di avorio, olio di palma, diamanti, legname, gomma... e per ridurne in schiavitù la popolazione. Poche nazioni sono benedette da una così ampia varietà di ricchezze come il Congo. Nessun Paese del mondo è stato sfruttato così duramente. »
Proprio come Mputubwele su Wired, anche l'autore di Rosso Cobalto ricorda come quelli dell'uranio e del cobalto non siano infatti casi isolati, ma solo due dei molti anelli di una catena di sfruttamento che parte dalla dominazione da parte di Re Leopoldo Secondo del Belgio sullo Stato Libero del Congo nella seconda metà dell'800 e che arriva fino ai giorni nostri: 150 anni di soprusi e violenze indicibili, di crimini umani e ambientali, il tutto al servizio dell'avanzamento economico e tecnologico di ogni fase storica: dalla gomma per gli pneumatici che avrebbero reso l'automobile il mezzo di massa per eccellenza, all'uranio che ha cambiato le sorti della seconda guerra mondiale e del novecento, fino alla rivoluzione legata alle batterie ricaricabili, e quindi ha smartphone, tablet, portatili, auto elettriche.
E purtroppo i paralleli non finiscono qui. Dalla violenta repressione delle proteste da parte dei minatori - quelle di 80 anni fa che Wired racconta drammaticamente nella loro crudezza, e quelle di oggi con cui si apre il libro di Siddharth Kara -, alle condizioni deplorevoli dei minatori, che allora come oggi lavorano a rischio della propria salute e delle proprie vite, con mezzi di fortuna e senza alcun sistema di protezione dalle radiazioni - il cobalto sarebbe di per sé già tossico, ma è estratto da un minerale chiamato heterogenite, in cui è legato al rame e quasi sempre proprio all'uranio.
Come ricordato anche nel nuovo numero di Ossigeno, lo sfruttamento delle risorse del sud del mondo e delle sue popolazioni per gli interessi delle grandi potenze economiche è la storia stessa dell'economia moderna. Ed è una storia mai troppo narrata nei suoi aspetti più cupi e vergognosi. Una storia che va raccontata, non solo perché, come Siddharth Kara ricorda sempre, è solo dalla conoscenza di quanto accade oggi - ed è accaduto in passato - in Congo come altrove, che possono risvegliarsi e sollevarsi le coscienze delle persone, ma anche perché è ad esse che dovremmo pensare, ogni volta che sentiamo qualcuno blaterale di "aiutarli a casa loro".
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