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Immagine del redattoreGiampaolo Coriani

Il fascismo dei fascisti



Secondo le agenzie le persone che sabato scorso hanno contestato la ministra Roccella al Salone del Libro sarebbero state identificate e successivamente denunciate dalla DIGOS con la contestazione del reato di violenza privata, art. 610 codice penale.

Questo reato si configura quando qualcuno con violenza o minaccia costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa, ed è punito con la reclusione fino a quattro anni, aumentata se il fatto avviene in luogo pubblico, quindi un reato particolarmente grave.

Per violenza si intende la costrizione fisica diretta, cioè l’uso della forza, o indiretta, ad esempio l’uso di un narcotico, mentre la minaccia è la prefigurazione di un male ingiusto.

Per quanto ampia possa essere la definizione di violenza o minaccia, è pacifico come le stesse debbano essere comunque idonee a determinare una costrizione.


Nulla di tutto questo è accaduto al Salone del Libro di Torino, come riporta ad esempio Luca Sofri che era presente: “Tutti indignati senza sapere niente, comunque. Roccella poteva benissimo parlare, in uno stand aperto circondato da altri stand e visitatori, compresi quelli che protestavano. Ha preferito il vittimismo, l’arma di questi tempi, ma nessuno le ha “impedito” niente. Impedire è altro”.

Ma di più, la configurazione del reato va comunque correlata al legittimo esercizio di un diritto, la scriminante di cui all’art. 51 codice penale, che esclude la punibilità.

Se la violenza privata è stata ritenuta sussistente, ad esempio, quando chi esercita il diritto di sciopero usa la forza o la violenza per impedire fisicamente l’ingresso di altri lavoratori in azienda, appare evidente come quanto accaduto a Torino sia lontanissimo dalla fattispecie, dove il diritto esercitato è la libertà di espressione, di rango costituzionale, paritario rispetto a quello, identico, della ministra.

Ma non è finita qui, perché la riforma Cartabia ha escluso la procedibilità d’ufficio del reato rendendo necessaria la querela della persona offesa.

E dato che al momento dell’identificazione la ministra Roccella non aveva certamente depositato querela alcuna, resta da capire se la DIGOS abbia illegittimamente, come scrivono le agenzie, contestato il reato in autonomia con la denuncia o se, invece, abbia agito in via preventiva per consentire alla ministra di querelare i manifestanti.


In entrambi i casi l’iniziativa appare preoccupante, non tanto per le conseguenze penali, visto che la Procura dovrebbe immediatamente archiviare posto che la commissione di questo reato è sostanzialmente immaginaria, quanto perché sembra proprio che le forze dell’ordine abbiano agito sotto l’influenza diretta del potere esecutivo, e quando accade questo dovrebbe suonare un campanello d’allarme.

Ma tutta l’intellighenzia nazionale (addirittura Renzi e Calenda hanno smesso di tirarsi stracci per farlo) si è prontamente mobilitata per esprimere solidarietà alla ministra, “censurata” al punto che la domenica sera era già ospite di un salotto televisivo per spiegare le sue ragioni, con visibilità molto più ampia di uno stand.

In tutto questo l’atteggiamento governativo è il solito mix passivo aggressivo di vittimismo, accuse e minacce subliminali (Crosetto: “Solidarietà e vicinanza alla collega Eugenia Roccella, alla quale è stato impedito di esprimere le proprie idee da persone che pensano di difendere la libertà privando gli altri della loro. Persone pericolose, antidemocratiche e prevaricatrici. Camuffate da attiviste”), con la perenne riesumazione della figura mitologica dell’immaginario “fascismo degli antifascisti”, utilizzata anche da Roccella nella sua comparsata televisiva, oltre che dai soliti commentatori liberali.

Quando invece dovrebbe preoccupare l’originale, cioè il fascismo dei fascisti, che sembra aleggiare in una forma sottile, impalpabile e insidiosa, riveduto, corretto ed adattato ai tempi, con l’utilizzo improprio e distorto delle prerogative costituzionali.



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