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Immagine del redattoregiuseppe civati

Il grande sfondamento


Hanno vinto loro. Da tempo. E continuano, nonostante le crisi e le contraddizioni, anzi, in ragione delle crisi e delle contraddizioni che sono soprattutto loro e che però servono a loro come carburante.


Ha vinto il capitalismo e non solo perché Trump è per una versione feroce (per citare Marianna Lentini) della proposta pro-business, come dicono negli Usa. E nemmeno soltanto perché il sistema di finanziamento e di condizionamento della società economica sulla politica denunciato da Sanders è quello che sappiamo, negli Usa – e non solo. E nemmeno perché si inserisce perfettamente nel sistema truccato che Trump denuncia, a cui promette di aggiungere altri trucchi, perché lui quel sistema l’ha sempre usato e quindi sa dove mettere le mani per evitare di pagare le tasse, soprattutto se se ne devono pagare molte.


Ha vinto il capitalismo perché ha imparato a dissociarsi dalla democrazia così come l’abbiamo conosciuta nei primi anni dopo la Seconda guerra mondiale. E l’ha costretta a trasformarsi in profondità: mentre il capitalismo è diventato sempre più apicale e concentrato intorno a pochissimi centri di decisione, così la democrazia deve immaginarsi meno democratica e, quindi, più autoritaria.


Mentre il capitalismo è l’unica ideologia e l’unica società possibile, la democrazia è diventata un fastidio. Non solo le tasse, per capirci, proprio le istituzioni, che infatti chi ha vinto aveva messo a soqquadro nella sua esperienza precedente, minacciando di farlo ancora di più nel secondo mandato.


E se i democratici hanno difeso in astratto la questione della democrazia, dal punto di vista politico (e sostanziale!) non hanno mai cercato di invertire davvero la tendenza, a cui si erano allineati perfettamente. L’accusa di socialismo è grottesca, in questo senso. Ma se una moderata come Harris deve continuamente giustificarsi di non esserlo, significa che si è spostata la finestra di Overton: per capirci, se uno è di centro ora è socialista, se uno è di estrema destra è soltanto un conservatore.


Vale molto più di un sondaggio, questa banale considerazione.


In un sistema dove dilagano i poveri e i poverissimi, si sceglie di abbandonarli al loro destino, perché si sono dimostrati inadatti, e tanto basta. Mentre i conflitti di interessi dei potentissimi sono considerati il più formidabile dei trucchi (vedi alla voce Musk) e il successo e il potere giustificano tutto. E tutto viene archiviato, perché non interessa il “processo” (any sense) ma il risultato.


Certo, sappiamo che ci sono anche ragioni specifiche, come in ogni elezione, con Biden che si fa da parte a pochissimi mesi dal voto (troppo tardi e male, anche per la sua figura politica che avrebbe richiesto maggiore rispetto), i sondaggi disastrosi che un’estate frizzante aveva rimesso in sesto per poi perdere il “momentum”, l’esito di misura di alcuni Stati chiave. Però il voto popolare è decisamente favorevole ai Repubblicani come non accadeva dai tempi di Bush e la perdita di milioni di voti democratici ci consente di dire che è una sconfitta grave e pesante: sul piano politico, prima che elettorale, perché lo spostamento a destra è impressionante, alla luce di una campagna elettorale che fa spavento. La tendenza è quella che conosciamo: dicono che gli estremisti non sfondano, e invece sfondano eccome. E sfondano le nostre convinzioni e le basi della convivenza – in un raggio di azione molto più largo del loro larghissimo elettorato – e si preparano a sfondare la democrazia.

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