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  • Immagine del redattoreGiampaolo Coriani

Ius Toti



Quando è uscita la notizia dell’accordo fra la difesa di Giovanni Toti e la Procura per un patteggiamento, la sorpresa è stata notevole.

La professione di innocenza dell’ex governatore della Liguria era un mantra quotidiano, così come i proclami sulla relativa dimostrazione nella futura sede processuale, mentre la detenzione domiciliare proseguita fino alle dimissioni era un bieco ricatto politico (e non una semplice misura tesa ad evitare soprattutto l’inquinamento delle prove).

E invece ha prevalso un’altra scelta che ha lasciato senza parole, per prima, proprio la sua parte politica.

Ma con le dichiarazioni rese alla stampa successivamente Toti ha dato la linea ai commentatori della destra, esponendo tesi a dir poco sorprendenti.

Il patteggiamento, secondo Toti, non è un pareggio ma “una vittoria” perché “sono passato da essere Al Capone ad aver parcheggiato la macchina in divieto di sosta. La montagna delle accuse ha partorito un topolino”.

E ancora: “Io mi ritengo innocente perché ho agito per l’interesse pubblico. I pm hanno sostanzialmente confermato che non c'era un atto illegittimo tra quelli che, secondo loro, sarebbero stati da me influenzati, così come, evidentemente, erano legittimi i finanziamenti al Comitato Toti".


I commenti lo hanno seguito all’unisono, tanto che alla fine l’argomento è stato talmente distorto da far sembrare quasi che questo patteggiamento sia una richiesta di scuse da parte della Procura per aver disturbato.

Gliene viene a lui, come si usa dire.

Ma le cose non stanno proprio così.

Va detto prima di tutto che non è neppure vero che il patteggiamento sia ammissione di responsabilità, come hanno scritto in tanti.

Il nostro sistema giuridico non è equiparabile a quello delle serie tv americane, dove l’imputato deve prima ammettere la propria responsabilità, in modo credibile e riscontrabile (per evitare che si assuma quella di altri) e solo poi ottiene lo sconto di pena concordato.

Qui da noi c’è solo un accordo sulla pena, senza questa dichiarazione.

Il che significa, ferma la condanna a tutti gli effetti, che non c’è alcuna sentenza di accertamento della responsabilità ma neppure dell’estraneità a quei fatti o della liceità di quei comportamenti, e quindi che accerti l’innocenza.


Di più, dopo la riforma Cartabia, per indurre maggiormente le parti ad accordarsi, la sentenza di patteggiamento non è utilizzabile nei procedimenti disciplinari (ma gli atti e le prove si).

Veniamo alle dichiarazioni di Toti, e quindi alla proposta di patteggiamento che andrà all’esame del Giudice per l’Udienza Preliminare.

Si parla di 2 anni e un mese (c’è che dice due mesi) commutati in 1500 ore di lavori di pubblica utilità, conferma di una confisca per 84.100 euro, interdizione temporanea dai pubblici uffici e divieto di contrattazione con la pubblica amministrazione per la durata della pena.

Questo accordo, tuttavia, riguarderebbe i reati di corruzione impropria (e cioè quando un pubblico ufficiale viene pagato o accetta la promessa di un pagamento per un atto del suo ufficio) e finanziamento illecito, mentre è ancora in piedi un altro filone di indagine, per corruzione elettorale e altri reati.

Ma davvero siamo al livello di una contravvenzione stradale?

Bisogna capire come funziona il patteggiamento.

La corruzione impropria prevede una pena che va da 3 a 8 anni, mentre il finanziamento illecito da 6 mesi a 4 anni.


Da questi dati le parti individuano una pena base di partenza fra minimi e massimi, considerando anche l’eventuale continuazione, su questa calcolano aumenti o diminuzioni per le eventuali aggravanti o attenuanti, ed esce un’ipotesi di pena.

Questa è poi oggetto di una ulteriore diminuzione per un terzo, lo “sconto” per aver aderito a questo rito processuale deflattivo.

Si può quindi affermare con certezza che la pena definitiva su cui hanno ragionato le parti è di circa tre anni e tre (o due) mesi, con diminuzione di un terzo per arrivare a due anni e due mesi (o uno).

Non proprio un divieto di sosta, diciamo.

La confisca, inoltre, confermerebbe che i finanziamenti non fossero proprio legittimi.

Ma è sicuramente un risparmio, di risorse per la collettività e di spese legali per l’imputato, che evita le lungaggini del processo e le sue conseguenze anche extraprocessuali.

Dopo le 1500 ore (sempre che il GUP approvi, sperando che legga poco i giornali, e al netto dell’altro filone di indagine) verrebbero meno anche le interdizioni e i divieti, con piena possibilità di svolgere attività politica.

Un accordo pienamente legittimo che non è, come detto, tecnicamente ammissione di colpevolezza, ma neppure attestazione di innocenza.

Anche perché di solito chi non ha commesso reati non patteggia e non si porta a casa una condanna e una pena, per quanto minimizzate.

Poi ognuno può valutare, soprattutto politicamente, le implicazioni del patteggiamento, ma non è che adesso gli diamo la medaglia, lo ius Toti, ancora, non è in vigore.

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