Se ancora nel 2006, e quindi 17 anni fa ma in fondo mica cento, il Presidente del Consiglio di un Paese tra le prime potenze economiche e industriali del mondo, espressione di una democrazia solida (più o meno) e matura (idem) diceva in un comizio che i comunisti bollivano i bambini per usarli come concime per i campi, non deve stupire che da giorni si discuta di neonati decapitati o forse no con una mancanza di lucidità non così diversa da quella del Berlusconi di allora, con la differenza che all’epoca, pur nello sconforto, queste uscite erano lo spunto per prenderlo in giro, mentre oggi la questione è serissima, anche se a vedere come viene affrontata dall’opinione pubblica non si direbbe. Ci è cascato pure Biden, smentito poi dalla sua stessa intelligence, o forse no (bis) visto che, nel momento in cui questa rubrica viene scritta, sui social continuano a rimbalzare conferme e smentite, e francamente non si sa cosa pensare, se non all’orrore più puro, un orrore a prescindere. “A prescindere” perché è vero, uccidere neonati è un crimine supremo anche se non sono stati decapitati, ma allora perché l’attenzione si è concentrata così tanto su quell’aspetto, se non per scopi morbosi che poco hanno a che fare con la pietas, se non per suggerire una inumana differenza tra bambini di una parte e bambini dell’altra?
E se riportare il pensiero al 2006 pare fuori luogo, allora si faccia almeno lo sforzo di ritornare a una sola settimana precedente all’attacco di Hamas, quando un gruppo di cristiani che portavano una croce in processione è stato preso a sputi da alcuni passati ebrei ortodossi, nel democratico e laico Israele che molti descrivono in queste ore, dimentichi del fatto che solo pochi giorni prima molti, in qualche caso proprio gli stessi, riflettevano sul fatto che in effetti sì, episodi simili stavano diventando frequenti ed essere cristiani in quel Paese stava iniziando a essere un problema, alla faccia dei valori occidentali contro i fondamentalismi che forse - forse - non stanno solo da una parte. Ma in questa storia fatta di torti che si stratificano da entrambe le parti ognuno ritiene di poter partire dal punto che più gradisce: dal più recente casus belli, dai fatti degli ultimi anni, dai lunghi decenni del ventesimo secolo, dai secoli precedenti, e qui ci fermiamo perché altrimenti dovremmo tirare in ballo Torah, Bibbia e Corano, che però forse più che la risposta al problema ne sono l’origine.
È quindi un po’ complicato prendere posizione, se è così difficile avere informazioni accurate, su questioni che peraltro sono già molto intricate: ma si deve, per forza, perché lo richiede l’arena, pro o contro, bandite le sfumature e i ragionamenti, e chi si sottrae è complice, di una parte o dall’altra. Una posizione ci sarebbe, la più chiara di tutte e in realtà vecchia di anni, e ci viene da Gino Strada, un medico che costruiva ospedali dove c’era bisogno di curare uomini, donne e bambini a prescindere dalla fazione che il conflitto del momento gli assegnava. Così semplice, eppure non fa comodo ricordarlo, e questo è un segno su cui bisognerebbe trovare il tempo di riflettere, staccandosi un attimo dal continuo flusso dei social e delle news: perché se questo è il dibattito, è bene sapere che a forza di invocare lo scontro di civiltà ci stiamo finendo dentro. E non perché ci sentiamo minacciati nel nostro stile di vita e nella nostra libertà - nel caso, e il Novecento ce lo ha insegnato, sarebbe pure giustificabile -, ma perché partecipiamo a un dibattito polarizzato in cui da qualsiasi parte si guardi, l’unica risposta che si trova è la guerra.
“Ma - potrebbe ribattere qualcuno - i fondamentalismi e le sopraffazioni tra popoli minacciano davvero la nostra libertà”, ed è peraltro vero, però allora qual è il nostro ruolo, qual è il ruolo dell’occidente? È solo quello di inneggiare allo scontro, al limite dividendosi su chi sia meglio fiancheggiare? Dov’è la politica, dov’è l’analisi del potere? Chi può cambiare il corso delle cose? Chi può fermare l’abominio? Chi ha la responsabilità più grande, al di là del tifo? È tutta qui, la capacità dei valori occidentali citati sopra, nessuna possibilità di trovare altre soluzioni, di mediare, di evitare massacri, di spegnere focolai che non si sa quanto potrebbero allargarsi? Perché se con tutta la nostra ricchezza, la nostra tecnologia, la nostra presunta superiorità culturale e morale, dall’alto dei nostri status di cittadini di libere democrazie, dalle poltrone da cui mandiamo i nostri pensierini al mondo via social, ebbene se l’unica cosa che ci riesce è tifare per la rissa come spettatori di lotte fra gladiatori e schiavi al Colosseo, o come audience del reality di turno, se insomma questo è il massimo che possiamo fare, beh, non è granché.
Almeno qualcuno ha ancora la facoltà di inquadrare i fatti nella giusta luce perché la tifoseria oramai costituisce la pandemia più grave, per la quale non ci sono vaccini.