Danilo Zagaria ha scritto un bel libro per Add editore, una navigazione, potremmo definirla, attraverso i cambiamenti climatici in relazione soprattutto alla vita del mare. In alto mare, appunto, e nelle sue infinite profondità.
La mossa insieme narrativa e scientifica a cui ricorre l'autore è la ricostruzione dell’incredibile storia delle paperelle gialle – quelle iconiche, da vasca da bagno, per intenderci – che nel 1992 finirono in mare, durante una traversata oceanica, fuoriuscendo dal container nel quale erano trasportate. Insieme a loro, castori rossi, tartarughe azzurre e rane verdi. Ne aveva già scritto Donovan Hohn in un libro dal suggestivo titolo Moby Duck, pubblicato in Italia da Mimesis. Queste paperelle hanno raggiunto ogni angolo del pianeta e la loro storia e poi leggenda è diventata una delle prime occasioni in cui documentare il problema delle scorie plastiche che galleggiano nei nostri mari.
Danilo Zagaria
In alto mare. Paperelle, ecologia, Antropocene
Add editore, 2022
La traversata intorno al mondo ormai si fa attraversando l’Oceano Plastico, navigando attraverso banchi di rifiuti, come è capitato – racconta Zagaria – allo skipper Charles Moore nel 1997 e da allora a molti altri navigatori.
Nel dicembre del 2019 è la volta di un capodoglio, spiaggiato in Scozia. Ricorda Zagaria: «Il capodoglio spiaggiato a Seilebot ha fatto notizia perché all’interno del suo apparato digerente sono stati rinvenuti più di cento chili di rifiuti, in gran parte reti da pesca. Ma non solo, chi l’ha analizzato ha ritrovato acne bicchieri e sacchetti di plastica, guanti monouso e materiali da imballaggio.»
Un riferimento letterario è quello a Daniel Pennac e a un suo spettacolo teatrale, il Sesto continente: un’impresa di pulizie diventa una grande corporation ma nessuno si chiede dove finiscono tutti i rifiuti che raccoglie. Finché non viene scoperta una grande isola di spazzatura nell’oceano. L’impresa deciderà allora di sperimentare in modo paradossale l’economia circolare, perché trasformerà l’isola di plastica in una attrazione per turisti.
intorno a noi, la plastica, come se l’intero globo terreste fosse plastificato. In alto mare si passano in rassegna altre questioni parecchio urgenti, che riguardano la vita del mare, i ghiacci ai poli, le forme di vita messe a dura prova, la sensibilità e l’intelligenza animale e, quindi e soprattutto, il nostro modo di vivere.
Zagaria si confronta con questi temi con preoccupazione ma con una nota comunque positiva, indicando un sentiero (o, se preferite, una rotta) da percorrere un tratto dopo l'altro, perché ogni sforzo, sostiene, può aiutare a mitigare una situazione che è già compromessa. Il cambiamento sarà profondo e dobbiamo saperlo attraversare – proprio come se stessimo navigando – e vivere in un modo diverso e più consapevole.
Il libro si conclude con un appello che personalmente apprezzo molto. Un appello all’immaginazione: «Pochi di voi hanno visto una barriera corallina o uno squalo bianco. Quasi nessuno sa come si pescano i merluzzi o sono saliti a bordo di un peschereccio. Pochissimi hanno viaggiato a nord del Circolo polare artico, fra iceberg giganteschi. Io stesso non ho mai fatto queste esperienze. Eppure le vedo, le immagino. Mi aiuto con i libri». La conclusione è politica: «Gli stessi problemi ambientali, climate change in primis, sono quasi invisibili. Pertanto, per risolverli occorre prima di tutto immaginarli, studiarli, visitarli. Lo fanno scienziati e scrittori, possiamo farlo tutti. Occorre soltanto un po’ di allenamento.»
A me leggendo queste righe, forse affascinato dalle avventure marine che Zagaria ci propone, è venuto in mente Emilio Salgari, i suoi personaggi, le sue ambientazioni, i mondi che andò inventando. E forse ci vorrebbe un Salgari ecologista per raccontare questa storia che ci riguarda tutti. E per affrontare quello che spesso non riusciamo nemmeno a nominare.
Come mi ha scritto lo stesso Zagaria, in un recente scambio epistolare di cui lo ringrazio, c’è una domanda a cui dobbiamo soprattutto rispondere:
Nel 2016 lo scrittore Amitav Ghosh ha scritto nel saggio La grande cecità che dobbiamo «trovare altri modi di immaginare gli esseri e gli eventi impensabili della nostra era». In altre parole: come raccontare un’isola di plastica? Come narrare la sesta estinzione di massa delle specie viventi? Come scrivere storie coinvolgenti per gli esseri umani in cui figurino come protagonisti anidride carbonica, alluvioni, vasti incendi boschivi? La sfida è tuttora apertissima, dato che grandi romanzi ecologici sul nostro tempo non sono ancora stati scritti. Qualcuno ci è andato vicino (Richard Powers?), ma è probabile che serva ancora tempo. Una cosa è certa: chi scrive è al lavoro. Li sento battere sui tasti. Io mi aspetto grandi cose e, fra queste, un o una Salgari ecologista sarebbe davvero meraviglioso. In fondo, lui scriveva di luoghi che non aveva mai visto, di animali e culture che non aveva mai vissuto. Lui, quindi, era come noi oggi. Andava in biblioteca e immaginava. Noi navighiamo online, leggiamo i rapporti e gli articoli degli scienziati, e possiamo immaginare. Immaginare come sarà. Servono storie nuove per i tempi "strani" che ci attendono.
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