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Immagine del redattoregiuseppe civati

La frontiera dell’involuzione


Nel decennale di Lampedusa e di quel naufragio che per un momento sembrò cambiare le cose e restituire un po’ di attenzione e di cura da parte del nostro Paese e dell’Unione europea, vale la pena di riprendere il libro-capolavoro di Alessandro Leogrande, La frontiera, Feltrinelli.

Se non vi è mai capitato di leggerlo, fatelo. Se lo avete letto già, rilegettelo. Perché oggi a dieci anni di distanza dagli eventi di cui tratta la sua lettura fa ancora più impressione: la sensazione è quella di una grande perdita di tempo, di attenzione, di tutto quanto. Perdita di vite umane, lasciate a se stesse. Perdita di persone che non sono mai ritenute davvero tali, perché non sono mica come noi. Perdita di senso politico, perché ormai ci siamo abituati a tutto quanto.


L’abbiamo messa nel conto, quell’ecatombe, come se fosse nelle cose. E la frontiera si è spostata sempre di più all’esterno dei nostri confini, verso la Libia, nei Balcani, in Tunisia. La frontiera dell’involuzione si è quindi estesa a tutto il globo terraqueo come direbbe la nostra presidente del Consiglio.


La destra ha continuato a battere sullo stesso tasto, speculando in ogni occasione. La “sinistra” si è allineata, a quella frontiera, contribuendo a peggiorare le cose. Ognuno ha avuto modo di partecipare con la propria creatività malsana, dai taxi del mare ai blocchi navali, dalle motovedette fino ai decreti che prendono i nomi dai naufragi per mettere ancora più in pericolo le stesse persone che naufragano.


Leogrande non c’è più e sembrano mancare a molti, quasi tutti, le parole per descrivere che cosa accade: è l’indifferenza che tutto accompagna, come se tutto – non solo quelle barche disperate – andasse lentamente a fondo.

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