È di ieri la notizia della richiesta da parte del procuratore Karim Khan alla Corte Penale Internazionale dell’Aia di un mandato d’arresto per i capi di Hamas Yahya Sinwar, Mohammed Deif e Ismail Haniyeh, e per Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant, Primo Ministro e ministro della Difesa di Israele.
La contestazione, supportata da un gruppo di giuristi esperti in materia che ha affiancato nel suo lavoro il procuratore, riguarda da un lato, per gli esponenti di Hamas, l’aver commesso crimini di guerra e crimini contro l'umanità per l'uccisione di centinaia di civili, la presa di di almeno 245 ostaggi e atti di violenza sessuale commessi contro ostaggi israeliani, e dall’altro, per i rappresentanti dello Stato di Israele, l’aver commesso crimini di guerra e crimini contro l’umanità quali usare intenzionalmente la fame di civili come metodo di guerra e l’omicidio e la persecuzione dei civili palestinesi.
I giuristi, in un comunicato riportato dalla stampa internazionale, hanno tenuto a precisare quello che per qualsiasi essere umano imparziale dovrebbe essere ovvio: " È importante capire che le accuse non hanno nulla a che fare con le ragioni del conflitto. Le accuse riguardano lo svolgimento di una guerra in modo tale da violare le norme consolidate del diritto internazionale che si applicano ai gruppi armati e alle forze armate in ogni Stato del mondo. E, naturalmente, le richieste di mandato annunciate oggi sono solo il primo passo. Ci auguriamo che il pubblico ministero continui a condurre indagini mirate, anche in relazione agli estesi danni subiti dai civili a seguito della campagna di bombardamenti a Gaza e alle prove della violenza sessuale commessa contro gli israeliani il 7 ottobre. Non c’è dubbio che il passo compiuto oggi dalla Procura costituisce una pietra miliare nella storia del diritto penale internazionale. Non esiste conflitto che debba essere escluso dalla portata della legge; la vita di nessun bambino deve valere meno di quella di un altro. La legge che applichiamo è la legge dell’umanità, non la legge di una determinata fazione. Deve proteggere tutte le vittime di questo conflitto; e tutti i civili nei conflitti a venire. I giudici della CPI determineranno infine quali mandati, se del caso, dovrebbero essere emessi. E mentre le indagini continuano, speriamo che le autorità statali, i testimoni e i sopravvissuti si impegnino nel processo giudiziario. In definitiva, speriamo che questo processo contribuisca ad aumentare la protezione dei civili e ad una pace sostenibile in una regione che ha già sopportato troppo”.
Del resto ne scrivevamo qui molto tempo e molti morti fa, quasi esattamente negli stessi termini usati dal pool di giuristi, perché sono valutazioni neutre e al di sopra delle parti.
Valutazioni che presuppongono da un lato il diritto ad esistere, e a difendersi, dello Stato di Israele, il diritto a uno Stato palestinese, il diritto dei civili israeliani e palestinesi alla vita.
Dall’altro il fatto che i massacri del 7 ottobre non possono considerarsi legittima resistenza secondo il diritto internazionale, così come la reazione israeliana non può considerarsi difesa legittima sempre secondo il diritto internazione, per i motivi esposti dal procuratore Khan.
Ma le reazioni, istituzionali e non, sono preoccupanti.
Esemplare il comunicato firmato dal Segretario di Stato degli Stati Uniti Anthony J. Blinken, e il Presidente Biden pare essere sulla stessa linea, dove si distorce il senso della richiesta di arresto, come se la stessa equiparasse lo Stato di Israele ad Hamas.
Non è vero, non c’è alcun giudizio di merito sulla natura delle parti (l’accusa reciproca di terrorismo, si sa, è molto in voga), quindi nessuna equiparazione, ma solo ed unicamente una descrizione di fatti che rappresentano ipotesi di crimini di guerra e contro l’umanità.
Né appare ricevibile l’eccezione di incompetenza (curioso che la sollevi chi non ha mai ratificato il relativo trattato) proprio per la natura universale dei crimini contestati.
Né avrebbe cambiato qualcosa l’aver richiesto la collaborazione di Israele se le prove, secondo il procuratore ed il suo staff, erano già sufficienti.
Peraltro gli stessi vertici di Hamas hanno curiosamente sollevato la stessa eccezione, cioè l’equiparazione delle vittime (palestinesi) all’oppressore (israeliano) con, al seguito, tutti gli estremisti (anche nostrani) che ritengono giusto cancellare dalle mappe Israele.
Anche in questo caso si confondono le ragioni e i diritti, cioè quello della popolazione palestinese alla vita e a uno Stato autonomo, con le modalità con cui vengono rivendicati.
Per rimanere a casa nostra, un caso di scuola di palese distorsione della realtà è ben rappresentato dall’editoriale odierno di Giuliano Ferrara sul Foglio, che sostiene esattamente, invertendo le parti, le tesi di Hamas: “La Corte penale non sa distinguere più tra vittime e assassini” scrive Ferrara, concludendo che la richiesta del procuratore sarebbe “Roba per idioti, incapaci di crescere e di pensare”.
Ancora una volta, lo si dice con la pazienza dei giuristi, si confonde scientemente il diritto di difesa di Israele, incontestato (dallo stesso procuratore Khan, che in un’intervista rilasciata a Christiane Amanpour su CNN, ha affermato del diritto, e anzi del dovere, di Israele di riportare a casa gli ostaggi, ma non così), dalle modalità e dalla proporzionalità con cui viene esercitato.
Poi ci sono quelli che, sempre giocando sulle equiparazioni, arrivano a dire che se avesse ragione il procuratore, alla fine della seconda guerra mondiale a Norimberga avrebbero processato Truman accando a Hitler.
È il solito meccanismo della negazione per equiparazione, come se fosse possibile negare che il lancio di due ordigni atomici sui civili giapponesi sia stato un crimine contro l’umanità, come se il trattato istitutivo dell’ONU, e tutti quelli successivi sui crimini di guerra, non fossero stati sottoscritti proprio per cercare di evitare che succedesse ancora.
E invece le ragioni giuridiche di questa richiesta di arresto sono una debole fiammella di razionalità e speranza dopo mesi di buio totale della ragione, di contrapposizione cieca senza valutare l’altro da sè, di violenza verbale che diventa violenza fisica anche al di fuori di Gaza, dei Territori occupati, di Israele.
Una debole fiammella che va tenuta accesa, anche per quello che non dice, ma che risulta evidente.
La ragione di esistenza di Hamas e dell’attuale governo israeliano è la guerra totale, perché solo con la guerra totale, l’odio cieco e irrazionale, i morti che alimentano la perenne vendetta, possono sopravvivere entrambi, come un’idra a due teste.
Il massacro del 7 ottobre, filmato dai suoi stessi esecutori, aveva lo scopo di provocare esattamente la reazione che sapevano sarebbe avvenuta, di far vincere l’odio e la vendetta, accettando, se non peggio cercando, il massacro dei propri stessi civili.
Non a caso Hamas non parla mai di genocidio ma sempre di martirio, perché è il martirio che alimenta la guerra e la resistenza, e soprattutto il potere dello stesso Hamas.
Ma questo non sposta di un millimetro le responsabilità del governo israeliano (non di tutti gli israeliani, non di tutti gli ebrei, in Israele e nel mondo), che ha deciso cinicamente di assecondare la legittima volontà popolare di colpire e sradicare Hamas, senza però concedere alcuna tutela, come prescrive il diritto internazionale, per la popolazione civile, quindi ad ogni costo, se non peggio, anche in questo caso, di colpire volontariamente per vendetta quella stessa popolazione civile.
Sono entrambe violazioni del diritto umanitario, sono le ragioni della richiesta di arresto e di avvio del procedimento, e sono distinte e autonome, per quanto speculari e legate a doppio filo dal fine comune, non sussistendo alcuna equiparazione fra le azioni compiute.
Ma il senso di questa richiesta è anche quello di far capire che l’unico modo per spezzare questo meccanismo di odio che si autoalimenta è proprio chiarire e distinguere le responsabilità, perseguire chi esercita e mantiene il potere politico, in qualunque modo ottenuto, commettendo crimini contro l’umanità, e rafforzare chi, da una parte e dall’altra, cerca la pace con il dialogo e il riconoscimento reciproco, le voci che l’odio sta cercando di mettere a tacere definitivamente.
Che è il senso del diritto che si oppone alla legge del più forte e di chi urla di più, all’odio e alla barbarie, e che dovremmo sostenere come se non ci fosse un domani, perché se vince la barbarie, appunto, non ci sarà un domani.
Grazie Gianluca Coriani per questa analisi puntuale, chiara e soprattutto umana.