"In una vecchia barzelletta della defunta Repubblica Democratica Tedesca, un lavoratore tedesco trova lavoro in Siberia; consapevole che la censura passerà in rassegna la sua corrispondenza, prima di partire, dice ai suoi amici: 'Stabiliamo un codice: se una lettera che riceverete da me è scritta con un normale inchiostro blu, è vera; se è scritta con inchiostro rosso, è falsa.' Dopo un mese, i suoi amici ricevono la prima lettera, scritta con inchiostro blu: 'Qui è tutto meraviglioso: i negozi sono pieni, il cibo è abbondante, gli appartamenti sono grandi e adeguatamente riscaldati, i cinema proiettano film occidentali, ci sono molte belle ragazze pronte per una tresca: l’unica cosa che non è disponibile è l’inchiostro rosso.'"
È una storiella che piace molto Slavoj Žižek. Badate bene però: non riguarda (soltanto) la libertà di espressione ma un problema più profondo: "Ciò che questa mancanza di inchiostro rosso significa è che, oggi, tutti i termini principali che utilizziamo per designare l’attuale conflitto […] sono termini falsi, che confondono la nostra percezione della situazione invece di consentirci di pensarla."
Le parole, le etichette, i modi di dire, le semplificazioni, l’immaginario stesso: l’inchiostro è nero.
Ci siamo abituati all’ingresso di parole e argomenti ispirati alle più becere teorie del complotto, a razzismi e negazionismi ascrivibili alle peggiore linee di pensiero del Novecento, fino all’oscenità del suprematismo bianco e alla rivendicazione di un diritto all’odio e alla discriminazione.
Abbiamo rivolto lo sguardo il passato e iniziato a parlare con una sorta di lingua – se non morta – mortifera, senza speranza, nella cupezza di tempi disperati. Abbiamo annegato la creatività e l’immaginazione in una palude limacciosa, abbandonandoci a un linguaggio corrivo e arido, e sempre coniugato alla prima persona singolare. Le stesse parole, in questo inchiostro nero come la notte, si confondono e perdono di significato. E questo nero copre tutto.
Ciò è successo soprattutto alle “nostre” parole. La libertà, con la discesa in campo di Silvio Berlusconi, sulle orme di Thatcher e Reagan, ha perso ogni suo contenuto sostanziale e ogni riferimento alle reali possibilità economiche di esercitarla, ed è diventata una bandiera della destra.
Si è detto che non c’erano più le ideologie, soppiantate dall’unica ideologia che impera e che non si nomina (il capitalismo innominato). Poi si è ripetuto che non c’erano più le classi, – altro trucco retorico, perché le classi sociali ci sono eccome, solo hanno preso altre “forme” e si sono come sminuzzate: per moltissimi individualismo è diventato così sinonimo di solitudine. Seguendo lo stesso metodo, anche le parole più insidiose sono state circonfuse di un’aura che le ha fatte diventare più belle, come quando si è introdotta la flessibilità, parolina meravigliosa e magica della fine degli anni Novanta, senza introdurre i corrispondenti ammortizzatori sociali, non pervenuti, se non in misura parziale, parzialissima. E così “precario-salario” è diventato un rimario insostenibile.
Tre dati:
"I lavoratori italiani guadagnano circa 3.700 euro l’anno in meno della media dei colleghi europei e oltre 8 mila euro in meno della media di quelli tedeschi.
La retribuzione media annua lorda per dipendente è pari a quasi 27 mila euro, inferiore del 12% a quella media Ue e del 23% a quella tedesca, nel 2021, a parità di potere d’acquisto.
L’Istat, nel rapporto annuale, indica che, tra il 2013 e il 2022, la crescita totale delle retribuzioni lorde annue per dipendente in Italia è stata del 12%, circa la metà della media europea. Il potere di acquisto delle retribuzioni, negli stessi anni, è sceso del 2% (+2,5% negli altri paesi) – Ansa, 7 luglio 2023."
"Nel 2020 l’Italia è stata «l’unico paese europeo in cui i salari sono diminuiti rispetto al 1990»: -2,9 per cento, contro il +6,2% della Spagna, il +31,1% della Francia e il +33,7% della Germania. – Openpolis, 13 ottobre 2021."
"'La distribuzione funzionale del reddito, il cui andamento storico in Italia mostra una caduta crescente della quota dei salari sul Pil e una crescente quota dei profitti, si è ormai stabilizzata su valori (rispettivamente del 40% e del 60%) che configurano un modello di crescita profit led.' – Dichiarazioni del presidente dell’Inapp, Sebastiano Fadda, in occasione della presentazione del Rapporto Inapp 2023, 14 dicembre 2023."
Va detto che il declino dei salari è un record italiano: una specialità, una tradizione, direbbe qualcuno, come la carbonara. E gli argomenti che si usano per giustificare questa discesa agli inferi sono gli stessi che avrebbero dovuto riguardare anche gli altri paesi, ma guarda caso hanno riguardato più il nostro paese di quanto non sia capitato a tutti gli altri.
Eppure per anni qui da noi ha governato il centrosinistra, eppure gli eredi – ormai sempre più lontani – della grande tradizione della sinistra italiana sono stati ministri, più volte proprio del Lavoro.
Chi per anni ha sostenuto l’importanza di definire quello che una volta si sarebbe detto "minimo sindacale", una retribuzione oraria sotto la quale non è ammissibile scendere, si è trovato contro i sindacati, gli imprenditori e tre quarti della classe politica, centrosinistra compreso. Ora pare che, una volta tornati all’opposizione, si siano tutti convinti che il salario minimo è fondamentale ed è curiosamente diventato una battaglia campale (benché non si sappia ancora se il campo è largo o stretto) anche per chi si era sempre opposto a questo tipo di misura.
Per lungo tempo abbiamo parlato, con Davide Serafin – si veda Salario minimo (allarga la mobilitazione per ingrandire), People 2022 – di "effetto faro", un’espressione che Serafin ha ripreso da uno studio economico di tanti anni fa. Il salario minimo è proprio come un faro, sia perché indica un punto sotto il quale non si può scendere, sia perché illumina tutta la condizione del lavoro, non solo la cifra, ma la sua continuità, la sua tutela, il rispetto che dobbiamo tornare a coltivare. Come scrivevano a proposito del Brasile alla fine degli anni Settanta Paulo Renato Souza e Paulo Eduardo Baltar il salario minimo, nel caso brasiliano, aveva un "effetto faro" sulla determinazione delle retribuzioni che andava ben oltre il naturale scopo di questa misura. Il salario minimo offriva un riferimento ai lavoratori nelle piccole imprese, meno soggette ai controlli, e nel settore autonomo. E anche gli autonomi adottarono il salario minimo come termine di riferimento per stabilire il prezzo dei loro prodotti e servizi.
Ora che sono tutti d’accordo, e in attesa di tornare al governo, è fondamentale seguire quel faro per iniziare una nuova navigazione, al di là delle secche delle retribuzioni e dei marosi della precarietà stabilita per legge. Per cambiare prospettiva e rotta, verso orizzonti che si possano schiudere nuovamente alla nostra vista. In senso politico e, verrebbe da dire, umano. Perché ciò vale per tutte e tutti ma soprattutto per chi si trova a svolgere un lavoro faticoso, categoria che negli ultimi anni ha avuto qualche rilevanza soltanto quando parlando di pensioni si è fatto cenno al "lavoro usurante": come se invece non valesse per il lavoro e per la retribuzione per gli anni in cui si lavora, appunto, ma solo “alla fine”, anzi “dopo”. E invece ogni ora lavorata deve avere una sua dignità e una sua remunerazione, e se il lavoro è “faticoso” e “umile” a maggior ragione se ne deve tenere conto. Perché oltre a essere un lavoro “umile” è diventato un lavoro sempre più discontinuo e più “povero”, da trent’anni a questa parte. Un’intera generazione politica.
Socialismo tascabile è un reading e un libro di Giuseppe Civati, e anche una newsletter settimanale per i lettori di Ossigeno. Puoi acquistare il libro a questo link: https://www.peoplepub.it/pagina-prodotto/socialismo-tascabile
Comments