È la sindrome di Erisittone, un mitico principe della Tessaglia particolarmente famelico, disposto a disboscare un bosco sacro a Demetra per farsi una sala da pranzo (!). Demetra, com’è ovvio, non la prese affatto bene e gli procurò una fame insaziabile. Pensando al mondo in cui viviamo e alle sue contraddizioni, le metafore si sprecano: oltre alla deforestazione della sacra foresta e con la specifica finalità dell’attovagliarsi, c’è da considerare anche la figura della figlia di Erisittone, Mestra, che il padre vendeva ogni giorno al mercato, all’insegna di un consumismo sfrenato (il suo). Sì, perché Mestra aveva ricevuto da Poseidone il dono di assumere le sembianze di ciò che desiderava, e quindi al mercato continuava a essere venduta ogni mattina come un animale diverso, per poi scappare da chi l’aveva acquistata e tornare da suo padre. E, quindi, ricominciare daccapo. In questo modo Erisittone poteva servirsi del guadagno per mangiare a più non posso. Si parlerebbe del giorno della marmotta se l’animale, appunto, non mutasse forma ogni volta.
Una tradizione dice che le cose non andarono bene e che Erisittone finì come mendicante, un’altra che andarono peggio e morì mangiando sé stesso.
È Ovidio nelle Metamorfosi a rappresentarlo nell’atto di divorarsi, strappandosi la carne a morsi:
ipse suos artos lacero divellere morsu coepit et infelix minuendo corpus alebat
Come Erisittone anche noi stiamo disboscando le foreste pluviali “fino alla fine” e per una ragione soprattutto: per coltivare cibo non solo e non tanto per mangiarlo, ma per nutrire gli animali che poi mangeremo. E come Mestra il nostro commercio assume sempre forme diverse, a ciclo continuo, e in forme sovente truffaldine.
Come se operassimo all’insegna del mito, abbiamo lasciato che il capitalismo cannibalizzasse – lo insegna Nancy Fraser – tutto quanto e prima di tutto proprio noi, che siamo diventati preda del nostro stesso consumismo, accettando, in particolare nei confronti dei lavori più umili e poveri, che tornassero lo sfruttamento, il cottimo, la violenza indiscriminata. Anzi, che tutto ciò fosse istituzionalizzato e nulla potesse cambiare.
Un’antropofagia che è in linea con la noncuranza verso l’emergenza climatica che mette a repentaglio la nostra specie: una specie che, oltre a essere cannibale, è diventata nell’ultimo secolo sempre più “carnivora”.
Potremmo dire che “la società è ciò che mangia”, come mangia e come alimenta ciò che mangia. Lo ha colto Francesca Grazioli (Capitalismo carnivoro. Allevamenti intensivi, carni sintetiche e il futuro del modo, Il Saggiatore 2022, in particolare p. 180) in riferimento a un altro mito, quello ben più celebre di Prometeo, che Grazioli riprende dalla lettura di Shelley, all’insegna di un suo radicale “rovesciamento”: «Prometeo ha dovuto condividere il fuoco con la razza umana, proprio per controllare il disgusto primordiale derivante dalla carne cruda, che ci ricorda della morte e dell’orrore da cui deriva il nuovo piacere del palato. Per questo motivo, la sua punizione non può che essere quella di avere le proprie carni e le proprie viscere divorate, crude, in eterno, divenendo lui stesso carne da macello.»
Si parva licet, c’è un episodio che mi riguarda e che risale a quando ero molto giovane. Partecipavo a una trasmissione locale con il destrissimo assessore regionale lombardo Pier Gianni Prosperini (giunta Formigoni), e mi trovai a citare Umberto Eco quando, a proposito della “reciprocità” allora invocata come un tormentone dalla destra – “noi facciamo le moschee solo se loro al loro paese ci fanno fare le chiese” – rispondeva che non è che se ci sono popoli cannibali in giro per il mondo noi andiamo là e li mangiamo. Prosperini commentò sarcastico che quasi quasi a lui non sarebbe dispiaciuto farlo.
In effetti il cannibalismo è stato più facile adottarlo, lo scrivo a mia volta provocatoriamente, con gli stranieri, perché ci siamo inventati uno scambio immorale: vi facciamo venire qui ma dovete soffrire, tanto non siete mica come noi. Siete strane creature, una specie diversa. Vi possiamo mangiare i diritti costituzionali, quelli civili, a volte quelli umani.
Nel frattempo, le cose non hanno fatto altro che peggiorare, anche in Italia. La destra non intende rinunciare a nulla, rispetto all’inquinamento, come ha scritto il nuovo leader della Lega, Roberto Vannacci, che ha lo stesso approccio anche nei confronti dei vegetariani o dei vegani – considerati come una delle minoranze sospette a cui il generale destina i suoi strali apodittici:
Al contrario di quanto sostengono gli amanti dei quadrupedi un mondo vegano non migliorerebbe affatto la condizione degli animali che morirebbero in natura per malattie, infezioni o tra mille sofferenze conseguenti all’attività predatoria ma, in compenso, ci porterebbe verso il degrado ecologico, l’incremento dell’industrializzazione e il dilagare della povertà.
Questa la tesi, che la maggioranza di governo condivide nei fatti, in particolare attraverso le azioni del ministero guidato da Francesco Lollobrigida che passa ogni giorno a rassicurarci sulla qualità dei nostri allevamenti intensivi, sulle nostre tradizioni che non si devono cambiare e sulle innovazioni che vanno, quindi, respinte tout court.
Noi sappiamo – e lo sanno anche loro – che il modello è insostenibile e chi si spinge anche a rifiutarsi di considerare la carne coltivata – nei confronti della quale ha varato un improbabile divieto – vuole mantenere un sistema per il quale l’80 per cento dei raccolti dell’agricoltura sono destinati ad alimentare gli animali che mangiamo. Quindi l’agricoltura è allevamento, soprattutto.
Il 77% delle terre coltivate è infatti destinato alla carne o ai latticini ovvero se si somma la terra usata per farli pascolare e quella usata per far crescere il loro cibo arrivi al 77% dei terreni agricoli al mondo. Una superficie di 38 milioni di km quadrati, grande come tutta l’America. No, non solo gli Usa, proprio tutta l’America, quella del Nord e quella del Sud, dallo Stretto di Bering a quello di Magellano.
Il 41% della deforestazione – alla maniera di Erisittone – è da attribuire alle “necessità” della sola produzione della carne bovina. Lo dice l’Università di Oxford e sono dati che si possono consultare su Our world in data, il sito di ricerche e statistiche oxoniense.
Fortunatamente, senza che la politica abbia avviato alcuna rivoluzione, per la prima volta nella storia recente l’Europa ha visto segnare un calo consistente nella produzione di carne. Tutte le tipologie di carne sono diminuite (eccezion fatta per il pollo). Contemporaneamente sono aumentate quelle di produzioni plant-based e, soprattutto tra le giovani generazioni, sembra affermarsi un nuovo modo di cibarsi.
Troppo poco e troppo tardi, in ogni caso. E lo scopriremo presto, soprattutto se la destra negazionista, che tutela i grandi interessi economici, continuerà ad affermarsi e a deviare la discussione dall’estinzione che incombe. E che ci siamo procurati mangiandoci.
Socialismo tascabile è un reading e un libro di Giuseppe Civati, e anche una newsletter settimanale per i lettori di Ossigeno. Puoi acquistare il libro a questo link: https://www.peoplepub.it/pagina-prodotto/socialismo-tascabile
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