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Immagine del redattoreSerena D'Angelo

La storia - nei capelli - di Emma Dabiri



«Don't touch my hair / When it's the feelings I wear».

Sono i primi due versi di Don’t Touch My Hair, il celebre brano di Solange. Con lo stesso titolo, nel 2019 è uscito per Penguin il primo saggio di Emma Dabiri, autrice e intellettuale nata a Dublino da madre irlandese e padre yoruba, un gruppo etno-linguistico presente soprattutto in Nigeria. Dabiri ha ereditato dai propri famigliari la pelle nocciola ma soprattutto quei capelli che segneranno tutta la sua vita, ricci all’apparenza difficili da gestire, “indomabili”, come si sente dire spesso nelle pubblicità. L’autrice ripercorre la propria storia personale, la storia dei suoi ricci, e nel contempo ripercorre la storia di una comunità – quella degli uomini e delle donne nere – sistematicamente oppressa, marginalizzata, defraudata. La sua tesi è tanto semplice quanto efficace: come il colore della pelle (talvolta più del colore della pelle) i capelli delle persone nere incarnano la loro identità, cagionando in tanti e vari modi una discriminazione nel linguaggio e nelle pratiche che si trascina ancora oggi come un retaggio sgradito ma ineluttabile. Scrive Dabiri: «"Ribelli”, “selvaggi”, “indisciplinati”, “ingestibili” e “volgari”. Prendiamo in considerazione questi termini nel contesto delle politiche normative sui nostri capelli. Quel linguaggio oggi culturalmente inaccettabile – quello delle colonie o delle piantagioni, il linguaggio un tempo impiegato per descrivere le persone nere – non è scomparso; si è semplicemente spostato all’altezza della testa».

«They don't understand / What it means to me / Where we chose to go / Where we've been to know.»


Anna Dalton ha tradotto per People il libro di Emma Dabiri, che arriva in libreria da oggi, 22 novembre, con il titolo di Non mi toccare i capelli. Un appello rivolto a tutte e tutti coloro che nella sua lucida e appassionata analisi potranno trovare ristoro e riscatto, certo, ma anche allo sguardo e alla mano bianca, sempre pronta a invadere spazi e corpi differenti da sé per colpa di un quanto mai radicato razzismo – oltre a quel vecchio vizio a cui diamo nome di capitalismo.

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