Ci pensavo leggendo il pezzo di Paolo Cosseddu sullo spirito anti-democratico con cui sono congegnate le elezioni in Italia. Paolo ci racconta spesso di Biella, ormai capitale politica del Paese. Questa volta vorrei spostarmi più a Nord, in particolare ad Aosta.
Sulla base delle leggi elettorali e delle regole che ne conseguono, la Valle d’Aosta decide, più di altri e suo malgrado, la possibilità che le liste che non siano già rappresentate nel sistema si presentino alle elezioni.
La firma valdostana è pregiatissima: per presentarsi alle elezioni europee – in questo caso, ma vale per altre scadenze elettorali – si devono raccogliere 1500 firme nella regione alpina. Detta così, non sembra nemmeno una cifra insuperabile: e invece, nei fatti lo è, perché la Valle d’Aosta conta 125.666 abitanti, compresi i minorenni, quindi. Gli aventi diritto alle ultime politiche erano 98.187. Gli elettori, invece, sono stati 59.490. 1500 su 100.000 o su 60.000 sono una percentuale molto alta, che corrisponde a tutti i voti che servono per essere eletti in Europa (la soglia del 4%). Aggiungete che queste firme vanno raccolte su moduli cartacei, nonostante le campagne promosse in questi anni per rendere possibile la sottoscrizione digitale.
Nemmeno l’intervento del vicequestore Rocco Schiavone, con questi numeri, potrebbe essere decisivo.
Senza considerare il fatto che il sistema politico valdostano è molto particolare, in ragione della sua autonomia e di un retaggio culturale molto influente, com’è ovvio che sia, e quindi abbia numerose forze politiche che non corrispondono alle forze politiche nazionali.
Se la Regione è a Statuto speciale, queste regole sono a Statuto assurdo. E impediscono a soggetti che vorrebbero fare la propria proposta elettorale di presentarsi. Per ristabilire un minimo di equità, chi le scrive dovrebbe essere obbligato a farsi un mesetto, arrampicandosi per i bricchi, portandosi dietro i moduli e tutto il necessario, alle ricerca di sottoscrizioni fra le malghe. Allora sì...
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