Chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori: la politica è un circolo privato, chiuso alla partecipazione, e le regole per correre alle elezioni europee lo dimostrano plasticamente. Vale a dire che chi ha già eletti, nel parlamento italiano o in quello europeo uscente, in questa tornata è automaticamente ammesso, mentre a tutti gli altri tocca affrontare una quasi impossibile raccolta delle firme, anche se corrono in rappresentanza di uno dei partiti delle famiglie politiche europee. Il che significa, peraltro, che in Italia agli elettori potrebbe essere impedito di votare per una delle suddette famiglie, cosa di per sé molto grave. Quanto alle firme, in particolare, la maggioranza si è mossa per far salire il totale a 150mila, 30mila in ogni circoscrizione, cifra poi scesa a 75mila totali, 15mila per circoscrizione e almeno 1500 in ogni singola regione: basta immaginare cosa può voler dire raccoglierle in una regione minuscola e fatta di centri piccoli e sparpagliati come la Valle d’Aosta, per capire la follia della proposta. Firme, beninteso, da far fare su carta e solo su carta, e da sottoporre a una burocrazia demenziale, senza poter usufruire dell’identità digitale (che lo Stato rilascia e quando fa comodo disconosce, come nelle peggiori dittature) quasi fossimo ancora nel diciannovesimo secolo, incorrendo nei capricci dispotici dei singoli uffici comunali che si permettono di fare il bello e il cattivo tempo fregandosene delle regole (sta succedendo nella civilissima Milano, per capirci).
Non solo lo dice il buonsenso che non bisogna cambiare le regole in corsa, ma è pure incostituzionale non rispettare i 180 giorni di anticipo minimi richiesti (qui invece stiamo parlando di un mese e mezzo), mentre una raccomandazione europea indicherebbe addirittura un anno di tempo tra le eventuali novità e la data del voto. A proposito di raccomandazioni, ci sarebbe pure quella di Mattarella nell’ultimo discorso di fine anno, quando ha parlato di quell’astensionismo crescente, ormai endemico, di cui tutti fingono di lamentarsi il giorno dello spoglio, piangendo lacrime di coccodrillo, salvo poi continuare a ideare sistemi astrusi e respingenti. E non finisce qui, perché peraltro in Italia le elezioni europee si svolgono con sistema proporzionale - quindi senza cartelli e coalizioni varie, ma con i singoli soggetti che si presentano autonomamente, almeno in teoria - con una soglia di sbarramento inspiegabilmente alta, ovvero al 4 per cento: non c’è insomma nessun potenziale rischio di eccessiva frammentazione, solo una sfacciata limitazione alla vita democratica.
A scanso di equivoci, non è necessario essere d’accordo o condividere particolarmente le posizioni delle liste escluse, per schierarsi dalla parte giusta. +Europa, per dire, è tra i partiti che parteciperanno alle elezioni grazie all’esenzione e ha comunque ritenuto di opporsi a questi provvedimenti, ben sapendo che riguardano soggetti altri e ben distanti dalle proprie idee. E del resto, in passato, specie a sinistra, era buona norma e segno di civiltà firmare per i Radicali e per i partiti più piccoli anche sapendo di non votarli proprio per consentire una partecipazione più larga, e non sarebbe male riprendere quella sana abitudine. La lista Pace Terra e Dignità, per esempio, ha fatto sapere in questi giorni di essere arrivata a 50mila firme, che sono già tantissime: andrebbe aiutata da tutti e tutte coloro che hanno a cuore la democrazia e dovrebbe poter comparire sulle schede anche se non si concorda con le sue proposte o se si pensa che Michele Santoro è antipatico, perché non è questo il punto. E lo stesso vale per le altre, magari con l’eccezione di chi, come altri esclusi tipo Forza Nuova, andrebbe sciolto prima ancora di iniziare (che fine hanno fatto le proposte in tal senso, a proposito?). Ma questo è un altro discorso, o forse no, dopotutto.
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