Ci hanno insegnato che l’avvento del fascismo e del nazismo nel XX secolo era stato preceduto da una serie di elementi estremamente specifici che erano stati ignorati, con particolare riferimento alla crisi delle vecchie istituzioni, ai problemi economici, e all’incapacità delle altre forze politiche di opporsi efficacemente. Lo studio del passato dovrebbe servire a non rifare gli stessi errori, ma il problema è che la storia tende sì a ripetersi, e però in modi sufficientemente differenti da trarre in inganno. Come diceva Corrado Guzzanti in una vecchia gag, finché dalla finestra non vediamo gente sfilare facendo il passo dell’oca, tendiamo a minimizzare.
Poi c’è tutto quel filone di pensiero, soprattutto di stampo liberale, secondo cui parlare di ritorno del fascismo non ha senso, giacché si tratterebbe più di mero folklore che di altro. Al fondo di questa beata tranquillità non è tanto la convinzione che le istituzioni democratiche siano solide, ma quella per cui siccome viviamo in un’economia di mercato, il mercato stesso (ovvero gli interessi economici) non permetterebbe mai il ritorno a dittature che, in sintesi, farebbero male agli affari. Le cose stanno proprio così? In realtà, è difficile non notare un certo scivolamento, in atto almeno dagli anni Ottanta, da quando cioè i partiti conservatori hanno iniziato a spostarsi a destra sui temi economici (deregulation, detassazione dei capitali), su quelli sociali e su quelli civili. È una valanga che sta accelerando, tanto che oggi fanno parte del dibattito questioni su cui prima c’era un certo pudore, mentre ora è normale essere apertamente razzisti, omofobi, sessisti, violenti, sicuramente evasori e pure un po’ ladri, e non da posizioni extraparlamentari, ma dagli scranni del governo.
Può darsi che, come sostengono i liberali di cui sopra, siano solo parole, oppure può darsi che tutto questo lungo lavorio sulla coscienza collettiva dell’Occidente serva alla fine per preparare il terreno a qualcosa di peggio. Tre questioni su tutte possono portare alla tempesta perfetta: la prima è l’emergenza ecologica. Mentre la sinistra arranca e fatica a spiegare la vastità del problema, e la necessità di adottare politiche rapide e radicali che non solo eviterebbero disastri, ma ci porterebbero anche verso un nuovo modello di sviluppo, la destra ha gioco facile a dipingere la conversione come una minaccia al nostro stile di vita, oltre che a interessi privatissimi di cui si fa portatrice. Che poi sono quelli, globali e molto ben sovvenzionati, di fare in modo che le cose vadano avanti il più possibile business as usual, sfruttando le crisi come opportunità per far leva sulle paure dei comuni cittadini: il rincaro dell’energia non è quindi l’occasione per fare una buona volta le famose rinnovabili, ma per trivellare, per tornare al carbone, per rispolverare il nucleare, per trovare nuovi Paesi da depredare delle loro risorse naturali. In qualsiasi settore produttivo, non si premia chi innova, ma si cerca di proteggere chi è rimasto al palo, che si tratti di motori diesel o di buste di plastica. Seminando il panico, e convincendo l’opinione pubblica che gli ambientalisti ci vogliono poveri, affamati e infreddoliti.
La seconda questione è ovviamente l’immigrazione. Di nuovo, poiché la sinistra fatica a spiegare i vantaggi di una società più aperta e tollerante, mentre ovviamente non si batte ciglio sulle grandi compagnie che fanno registrare oltre mille miliardi di extraprofitti senza ricadute sulla fiscalità generale, si incolpano i migranti per tutto ciò che non funziona: le lunghe attese per gli esami nella sanità pubblica, il peggioramento del sistema scolastico, il caro affitti, e ovviamente il conflitto sociale, che poi è la lettura che molti stanno dando delle proteste in Francia. La terza e ultima è appunto l’inefficacia delle opposizioni. Quel poco di proposta che sta arrivando da quei banchi in questi primi mesi di legislatura, puntualmente, si schianta contro la stessa obiezione, che a volte arriva dagli elettori, altre volte direttamente da Giorgia Meloni: perché non ci hanno pensato nei lunghi anni in cui sono stati al governo? Perché non hanno introdotto il salario minimo quando erano maggioranza? Perché non hanno stracciato gli accordi con la Libia? Perché non hanno tassato le rendite? Perché non hanno dato impulso alle rinnovabili? Peraltro, la legislatura è cambiata ma le persone sono rimaste le stesse, ed è quindi un po’ difficile prenderle sul serio.
Ecco l’incrocio, il contesto adatto a preparare una svolta autoritaria: sano terrore per un cambiamento descritto come portatore di miseria, un nemico più povero e dalla pelle come sempre scura, l’opposizione che non è credibile e non sa affrontare i problemi, meglio allora una svolta autoritaria, e dare mano libera a qualcuno che agisca senza andare tanto per il sottile, certo segando qualche libertà ma in fondo sperando che se la prenda con qualcuno che non siamo noi.
Poi, se le generazioni future saranno abbastanza fortunate da esserne uscite, diranno di noi: come hanno potuto essere tanto ciechi da non vedere cosa stava succedendo? Già.
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