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Immagine del redattoregiuseppe civati

Ma nessuna come

Ce ne sono di cose stupide ma mai come il divieto della cannabis light


Tutto il mondo va verso la legalizzazione della cannabis, lo fanno i paesi di lunga tradizione democratica e liberale, lo fanno le grandi economie, lo fanno per ragioni sanitarie, economiche, anche sicuritarie. Noi, no. Noi, in ragione della nostra italianità che ci rende così speciali, noi ci occupiamo della cannabis senza thc, che non è nemmeno una “droga”, come direbbero loro, e ce ne occupiamo per vietarla.


Undicimila posti di lavoro (qualcuno dice quindicimila), ottocento aziende produttrici, quasi il doppio per la sua trasformazione, mezzo miliardo di fatturato e un mercato in crescita, anche perché il “made in Italy” (!) è molto apprezzato all’estero.


Anche Coldiretti, a fianco del governo in tutto e per tutto, protesta. Molti operatori minacciano di andarsene, in un altro posto meno stupido del nostro (a proposito di emigrazione e delle ragioni che spingono ad andarsene).


Più che la legge sulla canapa è la legge del Cipolla, nel senso di Carlo e delle sue leggi fondamentali sulla stupidità umana: fare danno agli altri per procurare danno a se stessi. Senza alcuna ragione oggettiva, se non una ridda di argomentazioni che non hanno alcun senso: a sentire gli esponenti della maggioranza, per le stesse ragioni per cui si vieta la cannabis light, bisognerebbe vietare tutto.


E non c’entra nemmeno il tradizionalismo, perché se c’è una cosa tradizionale in questo paese, è proprio la canapa, di cui eravamo tra i primi produttori mondiali fino a metà del secolo scorso – quando la plastica prese il sopravvento (e anche questo dovrebbe farci riflettere, in prospettiva, ma figuriamoci se ciò accade con la compagine di conservatori, nostalgici e negazionisti che ci amministra).


Del resto, il loro non è tradizionalismo, ma una sottocultura da retrogradi, di chi una tradizione nemmeno ce l’ha: dal punto di vista costituzionale, dal punto di vista dell’unità territoriale (cantori dell’italianità già padani e ora “differenziatori”), dal punto di vista della storia e della cultura del nostro Paese.


E così nel breve volgere di qualche mese, l’Italia è uscita da qualsiasi forma di innovazione, che sia la carne coltivata, l’auto elettrica, un diverso modo di concepire l’agricoltura, e ora anche dalla filiera della cannabis, che ovviamente compreremo sul mercato nero e mafioso (a proposito di tradizioni italiane a cui mantenersi legati) e dalle multinazionali. Un po’ come tutto il resto.

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