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Marco Tiberi, la politica e la scrittura dei sogni



Tante pagine di Marco Tiberi che leggerete per la prima volta, o che leggerete di nuovo, sono molto spiritose. E lo sono per una ragione: perché sono intelligenti. Perché il divertimento per Marco non è mai fine a sé stesso, non è mai solo un gioco di parole (anche se a quel gioco non ha mai saputo resistere). Per lui in gioco, appunto, ci sono sempre e comunque le cose: quelle complicate da sciogliere, quelle eccessive da ridimensionare, quelle pericolose e stupide da rifiutare.

L’ironia fa arrivare dritte le sue opinioni, senza ammantarle di retorica o di moralismo. Anzi, togliendoli – letteralmente – di mezzo. Le pagine di Marco sono asciutte e secche, come il suo modo di ragionare che da questi testi emerge – e che non avrebbe perciò bisogno di alcuna introduzione. Il tono scanzonato e dissacratorio accompagna ed esalta le sue prese di posizione, frutto spesso di un pensiero e di un’elaborazione talmente laterali che nessuno prima ci aveva proprio pensato.

Non a caso, il nome della sua rubrica su Ossigeno, che ha accompagnato quasi tutti i numeri della rivista, era “Cìavete fatto caso?”. Riprendeva un celebre tormentone di Aldo Fabrizi, ovviamente, ma se c’è un motto che rappresenta Marco Tiberi è proprio questo.

E no, noi non ci avevamo fatto caso, o mai abbastanza. È successo mille volte: tu ti eri fatto un’idea, articolatissima e per quanto possibile compiuta, poi arrivava Tiberi e faceva saltare tutto per aria, costringendoti a ripensarci e a ripensarla.

Così è per Il sequestro, magistrale ricostruzione politico-biografica del Partito Democratico – e dei suoi ostaggi, gli elettori e le elettrici della sinistra italiana –, così sono le riflessioni che troverete in queste pagine, alcune già pubblicate, altre inedite, altre ancora soltanto abbozzate.

La questione delle bozze è sempre stata molto impegnativa, con lui: perché lui abbozzava (in tutti i sensi) e poi doveva essere costretto – resistendo con tutte le proprie forze – a completare il lavoro. Meno gli andava più gli veniva bene, in una ruota che teneva sempre insieme timidezza, snobismo, ritrosia e severità di giudizio, quest’ultima verso sé stesso.

Gli piaceva raccontare le cose, dare loro respiro, provare a farle vivere, mentre ne scriveva. Per lui anche una nota o un manifesto politico erano storie da raccontare. Le sue “trovate” erano in verità delle “scoperte”.

Questo libro accompagna le opere di narrativa che Marco ha pubblicato negli ultimi anni, da Fine, «un libro scritto al futuro per rendersi conto che è oggi che dobbiamo cambiare», a L’ultima morte di Peppe Bortone (suo romanzo “di sempre”), fino a Il figlio di Brancaleone (con Giacomo Scarpelli e la presenza, a ogni passo, dei loro maestri). Per People è un modo per continuare a ridere e a riflettere ancor di più, perché questo è sempre stato l’obiettivo di Marco, e per tenerlo ancora con noi. dall'introduzione di Cìavete fatto caso? Scritti politici, disponibile sullo store di People

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