Manca un anno alle elezioni che il 5 novembre 2024 sanciranno chi sarà il prossimo Presidente degli Stati Uniti. Salvo clamorosi ribaltoni - che pure sarebbero tutt'altro che inediti, nella storia USA - i candidati saranno ancora una volta Biden e Trump.
Oggi però ci sembra più interessante osservare cosa sta succedendo (cosa è già successo, di fatto) nel campo della destra americana, più che guardare alle singole performance dei due più-che-probabili candidati, perché ha molto a che fare con cosa sta succedendo anche da questo lato dell'Atlantico.
Perché non ci occupiamo molto della corsa alla nomination di repubblicani e democratici? Perché se sia a destra che a sinistra i giochi sembrano chiusi, l'unica vera incognita resta quella di una terza candidatura forte, dove per "forte" non si intende in grado di vincere o nemmeno di andarci vicino, ma capace di raccogliere quel tanto che basta a determinare l'esito del voto a favore degli altri due candidati. È un'ipotesi non solo possibile, ma persino probabile, in un contesto in cui le basi di democratici e repubblicani sembrano assolutamente schierate con il proprio candidato mentre esiste una larga fetta di indipendenti ancora indecisi, che potrebbe essere tentata da un terzo nome. Al momento, però, la cosa è ancora oggetto di pure speculazione, ci torneremo perciò se e quando ci sarà qualcosa di più concreto da raccontare.
Torniamo quindi all'argomento in oggetto, quello dell'evoluzione del Partito Repubblicano, una cosa che ci interessa da molto vicino anche in Italia, come si diceva qualche riga più su e come vedremo tra poco.
L'elezione di Mike Johnson a Speaker della House of Representatives, di cui abbiamo già parlato su questa rivista, segna infatti non solo l'ennesima vittoria dell'ala trumpiana del partito, ormai più che largamente maggioritaria, ma anche un chiaro segnale del percorso che questa intende seguire nei prossimi mesi, e del tipo di governo che hanno in mente se dovessero disgraziatamente riconquistare la Casa Bianca.
Parafrasando Amleto, potremmo infatti dire «Negazionismo, il tuo nome è Mike Johnson» (Recuperando peraltro una citazione piuttosto misogina, l'originale sulla supposta fragilità delle donne, che certamente Johnson apprezzerebbe).
La neoeletta terza carica dello Stato USA, infatti, incorpora il principio stesso di quel coacervo di estremismo cristiano, suprematismo bianco, complottismo e negazionismo - o per dirla con Keith Kahn-Harris, post-negazionismo - che è oggi la nuova destra americana.
Nel suo imprescindibile (cit. Treccani) Negazione, Keith Kahn Harris spiega molto precisamente di cosa stiamo parlando, quando parliamo di post-negazionismo, citando una dichiarazione di uno degli assistenti del guru neo-con Karl Rove al giornalista Ron Suskind:
L’assistente disse che i tizi come me facevano parte di «quella che chiamiamo comunità basata sulla realtà», che definì come persone che «credono che le soluzioni emergano dallo studio giudizioso della realtà discernibile». Annuii e mormorai qualcosa sui princìpi dell’Illuminismo e dell’empirismo. Mi interruppe bruscamente. «Non è più così che funziona il mondo» continuò. «Siamo un impero ora, e, quando agiamo, creiamo la nostra realtà. E mentre voi studiate quella realtà – giudiziosamente, da par vostro – noi agiremo di nuovo, creando altre nuove realtà, e potrete studiare anche quelle, ed è così che le cose si sistemeranno. Siamo gli attori della storia... e a voi, a tutti voi, non resterà che studiare quello che facciamo.»
Prosegue Kahn-Harris:
Il nuovo ordine a cui Rove aspirava è quello in cui non c’è divario tra desiderio e azione, tra il desiderio e ciò che è legittimamente desiderabile. Il negazionismo fornisce un trampolino di lancio verso questo mondo, il post-negazionismo fa un ulteriore passo avanti. Il post-negazionismo non è solo desiderio scatenato, è desiderio armato. Il negazionismo può funzionare bene come strategia di opposizione, ma è molto meno necessario una volta al potere. Quando i negazionisti arrivano al governo, hanno più libertà di ripiegare su pigre forme di negazione che semplicemente ignorano le verità scomode.
Ed eccoci arrivati a Mike Johnson. Come scritto su questa rivista, e come ben raccontato anche da Jacopo Di Miceli su Instagram, Johnson unisce in sé tutte le caratteristiche del trumpismo. È ormai ben nota la sua carriera come avvocato delle lobby del fondamentalismo cristiano che negli USA, grazie in gran parte al suo lavoro, da anni si battono nei tribunali e nelle assemblee legislative statali per abbattere anche le più basilari conquiste moderne in tema di diritti LGBTQ+ e di salute riproduttiva delle donne. Come quasi sempre accade, al fondamentalismo religioso seguono le teorie cospirative legate al suprematismo bianco, su tutte quella della Grande Sostituzione: lo riassume bene il sito americasvoice.org, che ha raccolto le moltissime dichiarazioni di Johnson a sostegno di questa teoria secondo la quale i grandi movimenti migratori della nostra epoca sarebbero organizzati e architettati da un non meglio definito "grande burattinaio" (come piace chiamarlo alla nostra Giorgia Meloni, anch'essa seguace convinta di questa teoria), che mirerebbe a sostituire la popolazione bianca e cristiana di Europa e USA con quella di altre "razze" più servili e quindi più funzionali agli obiettivi del nuovo ordine mondiale, oltre che per stravolgere i risultati elettorali, perché ovviamente queste masse organizzate voterebbero tutte per i democratici, secondo loro.
Ne consegue che, per la supremazia della cristianità bianca e contro la sostituzione etnica, i corpi delle donne europee e americane diventano centrali: il loro compito è quello di perpetuare la razza, di allargare le fila dell'esercito che dovrà contrastare l'invasione. Ergo la necessità di reprimere ogni conquista di libertà e autodeterminazione delle donne. Sembra uno scenario apocalittico delirante, ma è precisamente il substrato teorico su cui si alimentano tutte le costellazioni della galassia trumpista: dai fondamentalisti evangelici ai Proud Boys, dagli incel ai no-vax, dai suprematisti bianchi ai seguaci di QAnon. Tutti rappresentati perfettamente da Mike Johnson, che dietro all'aria da pacato avvocato del sud con occhiali di corno e completo di sartoria, nasconde un omofobo e misogino fautore della supremazia bianca e cristiana pronto a tutto pur di portare avanti la sua agenda per trasformare gli Stati Uniti in un'oligarchia di stampo teocratico, persino negare contro ogni evidenza il risultato elettorale del 2020, semplicemente perché è una (l'indeterminativo qui è d'obbligo) verità che mal si concilia con le sue idee, proprio nel solco di quanto citato sopra da Negazione. Come Keith Kahn-Harris ci ricorda, infatti, il post-negazionismo di cui Johnson è principio incarnato, si presenta come una variante persino più perniciosa del negazionismo:
Il punto in cui il post-negazionismo si separa dal negazionismo è nella sua fede quasi mistica nella verità al di là del linguaggio, al di là della realtà esterna. Eppure... il post-negazionismo è anche più capace di produrre un’onesta ammissione del desiderio, rispetto al negazionismo. Si verifica uno strano dualismo: nel post-negazionismo c’è spazio per ammissioni crude e brutali, ma anche per le fantasie più selvagge e meno aderenti alla realtà.
Nei suoi (primi?) quattro anni alla Casa Bianca, Trump ci ha già fatto vedere come quanto sostiene Keith Kahn-Harris sia tutt'altro che una mera speculazione teorica. L'ascesa politica di Mike Johnson getta, se possibile, un'ombra ancora più oscura su ciò che ci aspetta se il palazzinaro del Queens dovesse ottenere un secondo mandato da Presidente. Ciò dovrebbe preoccuparci non solo per l'evidente ruolo centrale che gli Stati Uniti ancora detengono nello scacchiere mondiale - e le dichiarazioni di Johnson di assoluto allineamento con l'estrema destra israeliana e di grande freddezza nei confronti del conflitto tra Russia e Ucraina non sono certo rassicuranti, in questo senso -, ma anche perché la alt-right americana è il centro nevralgico di quell'internazionale sovranista che dagli USA all'Ungheira, dalla Polonia al Regno Unito, dalla Svezia all'Italia utilizzano la lotta contro di diritti civili e la libertà delle donne, assieme allo spauracchio del complottismo, per portare le idee di estrema destra nella politica mainstream occidentale, sino ad ora con discreto successo.
È questo lo scenario che dobbiamo aver presente, quindi, non solo quando guardiamo alle presidenziali USA dell'autunno 2024, ma anche alle elezioni europee della prossima primavera, se non vogliamo ritrovarci un Mike Johnson alla Commissione Europea.
Più che esauriente. Il problema è che ci vuole un minimo di Q. I. per comprenderlo in tutte le sue implicazioni... ; - )