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Immagine del redattore Paolo Cosseddu

Nelle puntate precedenti


Chi l’avrebbe mai detto che il ministero della Cultura, sede istituzionale di un settore che in Italia è bistrattato e ignorato, fosse invece un posto così avvincente? Forse era questo, che intendeva dire Dario Franceschini quando lo presiedeva e voleva creare una Netflix italiana: non nel senso della piattaforma, ma nel senso che proprio il ministero è come una serie tivù, piena di intrighi, amorazzi, lotte di potere, colpi di scena, dramma, sangue, lutti. Tipo Yellowstone, ma con i butteri. (Per la cronaca no, purtroppo, intendeva proprio una piattaforma, su cui ha anche speso una discreta cifra di soldi pubblici finiti, come era prevedibile, nel nulla). Per il resto, fenomeno vero che è restato in carica complessivamente più di sette anni, indifferente al vedersi sfilare davanti ben quattro esecutivi diversi (Renzi, Gentiloni, Conte II e Draghi, e lui niente, eterno, o quasi). Una telenovela, mica come questi che durano meno di uno special dei Simpson. Ma come ha fatto? Col senno di poi, tutto sommato… no, niente.

 

Stavolta, a differenza del caso Sangiuliano - Boccia, non c’è stato un lento stillicidio: è stato uno stillicidio veloce. È bastato che Dagospia anticipasse che nella prossima puntata di Report si sarebbe parlato di un nuovo scandalo in corso al dicastero, questa volta (parole loro), a tema “maschile”, che nel giro di un amen sono arrivate le dimissioni dell’interessato di turno, un sottoposto (per ora): titoli di coda. Come in una miniserie veloce veloce, di quelle con sei puntate da 24 minuti, che si vedono in una sola serata. Bella, per carità, ma abbastanza da lasciare il segno? Si vedrà, considerato che Report deve ancora andare in onda e Sigfrido Ranucci ha detto che c’è altro, oltre a alle cose già emerse. Tra le quali, a quanto pare, il fatto che la destra abbia un problema con gli omosessuali. Ma dai? Chi se lo sarebbe mai potuto immaginare, un colpo di scena così, qui come minimo siamo almeno al livello della botola in Lost. Qualcuno, nella maggioranza, nega fermamente il pregiudizio, ma il comunicato di Pro Vita fa intuire qualcosa, tra le righe, agli osservatori più attenti: “In queste settimane Pro Vita & Famiglia ha dato voce alle migliaia di elettori che si sono sentiti traditi da una scelta assurda, scelta che il ministro Giuli si è ostinato a difendere nonostante le evidenze. Speriamo che la vicenda sia da monito per il Governo: gli elettori non tollereranno altri cedimenti, specialmente su questioni che coinvolgono nomine, finanziamenti o misure legate al movimento Lgbtq”. Dove la parte più sorprendente, ovviamente, è che nello scrivere la sigla siano arrivati addirittura alla lettera “q”.

 

È una posizione in fondo coerente, visto che a destra sostengono da sempre di avere molti amici gay: “amici”, appunto, mica dipendenti. E nemmeno parenti, perché altrimenti una soluzione si sarebbe forse trovata, visto che questa maggioranza conta al suo interno più legami di sangue che tra i personaggi di Dallas. Lo dimostra il fatto che la sorella di Giuli è regolarmente in organico nell’ufficio stampa della Camera, anche se a quanto pare in questi giorni si sta scazzando con Federico Mollicone, presidente della commissione Cultura (e quale sennò?). È l’ennesimo caso di scontro interno a Fratelli d’Italia - un partito così tanto balcanizzato da far sembrare il Pd la famiglia de La casa nella prateria -, dove imperversano dossieraggi, guerre tra bande, dissing, e relazioni interpersonali parentali o amorose in continua evoluzione, che possono rovesciarsi da un momento all’altro anche solo per un messaggino di troppo fatto circolare, mandando in vacca tutti gli equilibri compresi quelli del Paese, cui nessuno sembra però fare troppo caso (del resto, siamo qui a parlarne mentre il Governo vende pezzi di Paese ai fondi d’investimento, a proposito di priorità). Come con Beautiful, è una soap opera che va seguita costantemente, non solo non si può saltare una puntata, me nemmeno ci si può distrarre per il tempo di buttare la pasta, altrimenti si perde il filo.

 

Ora tutti si chiedono cosa succederà quando Report andrà effettivamente in onda: salterà anche Giuli? Che tendenze ha, oltre al feticismo per la carta? Che sono peraltro cavolacci suoi, se non fosse che sarebbero proprio i suoi sodali, nel caso, a farne una tragedia.

Intanto, dal suo esilio momentaneo (nessun dubbio in merito), Franceschini osserva, senza fretta, perché i suoi sono i tempi dei moti astrali, indifferenti ai rapidi impazzimenti dei formicai. Per tenersi occupato, di recente, si è fatto pubblicare un romanzo, intitolato Aqua e Tera. Protagoniste, due ragazze nella Ferrara dello squadrismo fascista, lesbiche. Che dire, chapeau.

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