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Immagine del redattore Paolo Cosseddu

Non fiori, ma opere di bene



La tivù generalista è per costituzione sempre di qualche anno in ritardo rispetto alle tendenze e alla realtà corrente, e pur nella sua bruttezza ormai irrecuperabile non intercetta in tempo reale fenomeni come questi video che girano un po’ ovunque, ma nascono principalmente su TikTok, in cui c’è questo tizio che noi non vediamo mai, ma che sentiamo accostarsi a barlandoni motorizzati per chiedere l’origine di tanta fortuna: «Ciao, cosa fai nella vita per guidare una Ferrari SF90 da 427mila euro?». Oppure, «Ciao, ci dici quanto costa vivere a Dubai?», «Ciao, quanto paghi per casa tua a Milano?», «Ciao, fai la modella? Ci fai vedere cos’hai nella borsa?».

Qual è il senso? Non si sa, ma è un format, e tanto basta, aspettatevi di ritrovarvelo in prima serata, tra un po’. Nemmeno Amadeus, che pure deve il successo dei suoi Sanremo alla capacità di aver aggiunto elementi di novità e “cose che piacciono ai giovani” a una manifestazione vecchia come le guerre puniche e perfino più noiosa, è ancora arrivato a tanto. In compenso, ha avuto la bella pensata di aggiungere all’ormai prossima edizione del carrozzone un ospite straniero, di un tipo un po’ diverso dalla solita rockstar bolsa, trattandosi del Presidente ucraino. Chissà se gli chiederanno qualcosa del tipo «ciao Volodymyr, ci dici cosa fai nella vita per guidare un tank Leopard di fabbricazione tedesca?»


Una roba che persino Salvini ha trovato fuori luogo, il che rende questo un Sanremo dei record ancor prima di iniziare: per essere riusciti a far dire a Salvini una cosa giusta, e Dio sa che non era facile. Qualcuno ha fatto notare che la politica spunta spesso, nella storia del Festival, in genere seduta nelle file pregiate dell’Ariston e strategicamente inquadrata, o tirata in ballo dal monologhista di turno, sempre bonariamente per carità che non vogliamo turbare nessuno. Ma anche fuori luogo, come quando Fazio invitò Gorbaciov in un esempio insuperabile o quasi (non mettiamo limiti alla provvidenza) di veltronizzazione del media, in cui l’outfit della bella statuina scelta per scortare il presentatore maschio, l’acqua minerale sponsor che fa fare tanta plin-plon, la polemica per il cantante in gara che ha detto “ciao” quando il televoto era già aperto, tutto e tutti hanno pari valore rispetto all’uomo che ha segnato la fine dell’Unione Sovietica. Una specie di all you can eat culturale che poi tanto, scuserete l’accostamento inelegante, è destinato a finire mischiato in pancia e poi anche peggio. È anche vero, però, che se fin qui la guerra in Ucraina l’ha spiegata gente tipo Orsini, Amadeus rischia di essere a confronto quasi un miglioramento, ma nel caso non c’è da preoccuparsi, non è voluto. La tivù è fatta tutta così, nessuno spiega le cose, nessuno dice la verità, il brutto è bello e il bello non è di casa e nessuno se ne preoccupa. L’altro giorno, per citare un esempio recente fra milioni disponibili, era in onda un sedicente esperto secondo cui i nuovi richiami di vaccino sono inutili, basta prendere un po’ di chinino per proteggersi: il chinino, un preparato che i medici di un secolo fa davano ai malati quando ormai pensavano non fossero più curabili. Ecco, questa roba entra nelle case degli italiani ogni giorno, 24 ore su 24, e a nessuno sembra importare un fico secco, figuriamoci se è il caso di scomporsi per una guerra infilata tra un duetto e una classifica provvisoria (a proposito, chissà se “Ama”, almeno lui, saprà dirci chi sta vincendo). Del resto, come diceva Berlusconi tempo fa citando “uno studio” (wow), “la media del pubblico italiano rappresenta l’evoluzione mentale di un ragazzo che fa la seconda media e non sta nemmeno seduto nei primi banchi”. Gli stessi banchi tra i quali, probabilmente, viene in seguito scelta buona parte della classe dirigente del Paese, oltre che molti autori televisivi: per banale statistica, ma anche per affinità.


Si potrebbe anche concordare, comunque, prendendo atto del fatto che se uno, nel 2023, nel poco tempo libero che gli viene lasciato da lavoro e accolli vari, potendo fare mille altre cose, ha come unico passatempo quello di guardare i canali dall’uno al sette, un po’ è vero che deve essere un pirla. Tranne quelli che lo fanno per scriverne arguti commenti sui social, quelli sono peggio. Ed è brutto anche passare le ore a instupidirsi con lo smartphone in mano guardando video di tizi che chiedono ai passanti «ciao, ci dici i marchi del tuo outfit?», con la differenza che quelli hanno la scusa di essere dei ragazzini. C’è chi è vecchio abbastanza da ricordarsi di quando si pensava che la tivù dovesse avere scopi educativi - la Rai riusciva a farlo bene, ogni tanto - argomento improponibile oggi che i contenuti ci arrivano persino dai display nei negozi di mutande, ed è al tempo stesso insufficiente ributtare la palla sul fruitore e la sua libera scelta di guardare contenuti migliori, che pure ci sono, perché non risolve il problema. È un giudizio classista, da sinistra salottiera che disprezza il popolino? O non è forse molto peggio, molto più classista, pensare che vada bene nutrire le masse di bruttezza, idiozia e falsità, anzi che alla fin fine tutto sommato sia divertente?






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