top of page
  • Immagine del redattore Paolo Cosseddu

Obazymandias


Secondo alcuni studi, gli antichi egizi iniziavano a costruire la tomba del faraone non appena saliva al trono, ma se malauguratamente il sovrano moriva prima del previsto, mollavano tutto di punto in bianco e iniziavano a costruire il sepolcro del successore. È una straordinaria metafora della provvisorietà del potere, che vale per i grandi della Terra di ogni tempo, ed è decisamente più prosaica della versione messa in rima da Percy Bysshe Shelley: “Ozymandias è il mio nome, il Re dei Re: guardate alle mie opere, o potenti, e disperate”, dice l’iscrizione che campeggia, però, su una pila di rovine.

Malgrado questa consapevolezza fosse già così comune quasi seimila anni fa, presso popoli che - pensate! - ancora non conoscevano Instagram, stranamente si tratta di una lezione ancora ignorata, e quindi è piuttosto comune imbattersi in utenti di social network che, per citare un esempio tra mille possibili, commentano un video di Taylor Swift che fa ciao ciao con la manina scrivendo “Goat” (Greatest of All Time, per chi non è pratico), o “Aura” (e, non di rado, “Aurea”, perché spesso l’italiano è meno solido della convinzione). Troppo in tutto, tranne che in senso delle proporzioni.

 

Si può tralasciare per una volta la prevedibile riflessione sull’attuale inquilina di Palazzo Chigi, che si muove e muove le sue truppe come se stesse conquistando la Madre Russia mentre invece, come si è visto in questi giorni, per due soli reporter che sono entrati a Kursk se l’è immediatamente fatta sotto, e ha preso a lagnarsi per i guai della sorella ancor prima che iniziassero. Evidentemente nessuno, tra chi la circonda, possiede il distacco necessario a spiegarle che le photo opportunity con i capi di Stato, le attenzioni sulla sua clothing, le conferenze stampa in cui monologa e si permette di trattare tutti con condiscendenza, tutto questo finirà, e probabilmente prima di quando lei immagina. Ignorano, i cortigiani al seguito della regina, che non solo a un certo punto la Faraona sarà seppellita, ma loro stessi finiranno tumulati con lei, e nessuno si mobiliterà per salvarli come invece è successo, per fortuna, con il cane di Alain Delon. L’interessata, per farsi un’idea di cosa la attende, potrebbe chiedere a Draghi, che certamente sul punto sarebbe illuminante, se non fosse che probabilmente non ne ha più il numero, e forse lui nemmeno risponderebbe. (Vabbè, pare che alla fine la prevedibile riflessione l’abbiamo fatta lo stesso, ops).

 

Ma, tornando a bomba e venendo a esempi più esotici, si è conclusa la convention dei Democratici americani e avendo avuto la timeline intasata di video entusiastici fino al parossismo, qualche dubbio sulle proporzioni di cui sopra francamente è venuto. Il Partito Democratico americano, infatti, è esattamente nella situazione in cui la costruzione della tomba del faraone vecchio si è fermata per iniziare quella nuova. Col vecchio che è ancora vivo, tutto sommato, peraltro (complottismi a parte). Tra i molti spezzoni diventati popolari, tutti rigorosamente viralizzati più per la forma che per il contenuto, ce n’è uno dove si confrontano le chiamate dei delegati dei singoli stati prima alla convention repubblicana, silenziosissima, quasi funerea, e poi a quella Dem, dove a ogni stato si scatena una torcida delirante: “Iowa!”, “WOWWW!!!”. Insomma, avete presente l’Iowa? È lo Stato americano con la più alta concentrazione di radon, un gas radioattivo. Ecco. È un meccanismo comprensibile, ci mancherebbe: i Democratici devono dimostrarsi convintissimi, visto che hanno lungamente costeggiato un disastro totale, ma al tempo stesso giova ricordare che non l’hanno mica ancora superato, no? Dopotutto, tre settimane fa il mondo a malapena si ricordava dell’esistenza della loro nuova leader. Nel loro sforzarsi di sembrare così assolutamente, totalmente contenti, corrono il rischio che qualcuno appena un pochino più distaccato si trovi a chiedersi perché diavolo sono così su di giri. E non, si badi, perché qui si tifa per Trump - brrr - o si pensa che l’assemblea repubblicana fosse migliore: anzi, francamente era piuttosto inquietante. Però sale come quella sensazione che si ha quando si va a vedere al cinema uno di quei blockbuster strombazzatissimi da 200milioni di dollari, pieni di divi e di effetti speciali, e si esce dalla sala gasati salvo poi ritrovarsi a pensare, una settimana dopo: santo cielo, che boiata pazzesca.

 

Persino Obama, ebbene sì: il miglior oratore politico vivente, il migliore da vent’anni a questa parte, lo hanno scritto in molti dopo il discorso di qualche sera fa e non c’è dubbio, è vero. Ma l’idea di far riferimento alle “dimensioni” di Trump, intendendo non solo quella delle sue platee? Dai. Non ci diciamo sempre che siamo migliori di così? Non siamo mica sulla chat degli amichetti di calcetto, Barack, ti si vuole tanto bene, ma ricordati che dopo di te che eri e sei il più figo del bigoncio è arrivato il peggiore di tutti, e come prima cosa ha cancellato tutte le cose buone che avevi fatto, in due minuti. Guarda cosa resta del tuo regno e disperati, Obazymandias. Quindi, certo, c’è da augurarsi che tutto vada per il meglio, ovviamente, che fra pochi mesi non ci si trovi a commentare il ritorno alla Casa Bianca di quella specie di maniaco arancione con la messa in piega, va bene, ma se invece dovesse vincere? Dopo lo sconforto, dovessimo imbatterci di nuovo in quei video così convinti e ilari, non ci troveremmo forse a chiederci cosa cacchio avevano tutti quanti da ridere?

Comments


bottom of page