La notizia della settimana, si fa per dire, è che la nuova conduzione del programma Affari tuoi - quello dei pacchi -, affidata a Stefano De Martino, sta asfaltando sera dopo sera il suo diretto concorrente nella prestigiosa e redditizia fascia preserale, ovvero Antonio Ricci, ovvero Striscia la notizia, non proprio un avversario facile. Con tutti i danni che la pesante mano meloniana ha fatto alla Rai, dopo false partenze e flop micidiali, censure e informazione pilotata, i dati di ascolto stanno risalendo. Le star fuggite verso altri lidi faticano, o comunque non raccolgono abbastanza pubblico da andare oltre la solita nicchia. De Martino, con la sua faccia da bravo ragazzo, giusto a metà agosto si era affrettato a smentire la sua vicinanza alla Premier e un incontro con la di lei sorella su cui i giornali avevano lungamente speculato. Si dice che una smentita sia una notizia data due volte, ma chissà, questa potrebbe essere l’eccezione, non importa: nel grande schema delle cose, il suo successo fa bene al suo editore, che incidentalmente è proprio il Governo guidato da Giorgia Meloni. E poiché come nel piccolo così nel grande, la crisi del leviatano di viale Mazzini, che sembrava imminente e invece è rimandata a data da destinarsi, è metafora di un’altra parallela che interessa in questo caso tutto il Paese.
Se infatti c’è mai stato - sempre che ci sia stato per davvero - un momento in cui il Governo Meloni poteva o stava per cadere, quel momento sembra ormai passato. Anzi, la maggioranza appare più in salute che mai. E dire che ne ha passate di tutti i colori, in questo 2024 che era iniziato letteralmente col botto: per la precisione a Rosazza, per via di quello sparo nel buio che è rimasto un po’ oscuro, e che aveva coinvolto, come i lettori di Ossigeno sanno molto bene, il sottosegretario Delmastro. Poi sono seguiti i lunghi mesi di campagna elettorale, un corteggiamento con Ursula Von Der Leyen che andava avanti sin dall’anno prima che non solo non ha dato i frutti sperati in termini di sbandieramento a destra di nuovi equilibri europei, rimasti quasi immutati, ma ha pure reso più profonde le spaccature tra le varie anime della destra continentale, vanificando i sogni di Giorgia Meloni di diventarne la sola leader. Con quel capitolo ancora da risolvere, tra la procedura d’infrazione e una finanziaria da presentare, e il neocommissario Fitto a cui è stato richiesto un ulteriore approfondimento legato alle sue proprietà immobiliari, l’estate è stata tutt’altro che rilassante e ha portato nuove grane: prima, con il presunto complotto giudiziario ai danni della sorella Arianna, denunciato ancor prima che divenisse palese, poi con l’affaire Boccia-Sangiuliano, che non si è definitivamente chiuso nemmeno dopo le dimissioni del Ministro. Ed è pure finita la relazione tra la stessa Arianna Meloni e Lollobrigida, un fatto forse collegato al precedente, o forse no, mistero.
Salvini, leader in crisi di un partito a sua volta in crisi, che poteva avere interesse a rompere, malgrado il magro risultato alle europee ha trovato una specie di equilibro, o meglio è diventato lui stesso un punto di bilanciamento interno alla Lega tra le sbandate a destra alla Vannacci e il nordismo più illuminato alla Zaia, ma in ogni caso sembra molto meno minaccioso, forse anche per via delle sue grane legali. Forza Italia alle europee ha sventato il disastro, ma le intemerate di Tajani sulla cittadinanza non hanno prodotto nulla, se non una proposta che non può piacere né ai suoi alleati, e nemmeno alle opposizioni. Dalla famiglia Berlusconi arrivano ogni tanto manifestazioni di ostilità, ma è un cane che abbaia senza mordere, e la discesa in campo di uno degli eredi sembra rimandata a tempi più adatti, sempre che arrivino, nel frattempo però, a proposito di tivù, gli tocca digerire l’affronto di vedere l’odiata Barbara D’Urso in onda su un canale della concorrenza. Persino Crosetto, che di Meloni è un po’ l’Hodor di Game of Thrones, si dice che sia scocciato, e che diserti le riunioni in Consiglio dei ministri: ma la Premier ha fatto sapere di non volersi occupare di malumori e menate personali, tiè. Infine, la cronaca di questi ultimissimi giorni, con le chat private con i parlamentari fatte trapelare, insieme alla replica dell’amareggiata leader, costate il fallimento del tentativo di assaltare la Corte costituzionale con un colpo di mano. Ogni giorno che domineddio manda in terra è accompagnato da una dichiarazione improvvida, un caso, una figuraccia, un comportamento inopportuno, un nuovo motivo di nervosismo, e la maggioranza va avanti così sin dal giorno del suo insediamento. Eppure, tiene.
E tiene bene, meglio dei governi che hanno preceduto questo esecutivo e che erano arrivati a durare tanto. Il consenso, seppure non più alto come nel giorno della sua nomina, è stabile, anzi, in leggero miglioramento, dicono i sondaggi. Si discute della prossima manovra in termini di lacrime e sangue, con il tentativo di infilarci qualche misura vendibile all’italiano medio, tipo la tassazione degli extra-profitti (sempre che quagli), ma il dato non cambia, come se i due fenomeni non fossero collegati. Anche le microlobby preferite dalla maggioranza mugugnano: i tassisti sono perennemente incazzati, i balneari hanno incassato l’ennesima proroga ma volevano di più, gli allevatori si lamentano per il poco supporto mentre gestiscono l’emergenza della peste suina, ma il Paese con la “P” maiuscola non sembra volere cambiamenti.
E nemmeno le forze politiche: di quelle alleate abbiamo già detto, e quelle all’opposizione sono nel pantano più che mai, specie dopo la fine del mai nato Campo Largo. In qualche modo, la permanenza di Giorgia Meloni al suo posto sembra garantire lo status quo, preferibile a una situazione di incertezza che nessuno sembra pronto ad affrontare. Di certo non le elezioni anticipate, ma nemmeno un ennesimo governo tecnico, che per assurdo metterebbe in crisi più il Pd e il M5S che non eventuali pezzi di maggioranza. Quindi, avanti con Giorgia Meloni. È presto per dire se ci tocca tenercela per i famosi prossimi vent’anni ma, visto che si parla di pacchi, forse gli auspici sulla sua fine sono stati prematuri, e non avevano previsto il doppio pacco e il contropaccotto.
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