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Immagine del redattoreStefano Catone

People e l'AltraMontagna Festival: intervista a Pietro Lacasella



Dal 18 al 20 ottobre arriva a Trento il "People e l'AltraMontagna Festival", con un programma ricchissimo e con numerosi ospiti, tra cui Giuseppe Civati e Cristiano Godano. Ne abbiamo parlato insieme a Pietro Lacasella, antropologo e curatore de l'AltraMontagna e di Alto Rilievo - Voci di montagna. 


"L'AltraMontagna" è il giornale online per cui scrivi, nato ormai un anno fa e che tante e belle cose ha già fatto, anche in collaborazione con People, riuscendo a creare attorno a sé una vera e propria comunità di lettrici e lettori attenti al tema delle terre alte. Ma qual è "l'altra" montagna che avete in mente e che cercate tutti i giorni di raccontare? 

Il progetto de “l’AltraMontagna” è nato dall’idea di cambiare prospettiva alla narrazione dei territori montani, e quindi di raccontarli non più solo per attirare un possibile turista, con un approccio narrativo che guarda sempre “verso il basso”, alle aspirazioni alpinistiche, sportive, ludiche di chi abita in pianura. Con “l’AltraMontagna” cerchiamo appunto di cambiare prospettiva, anche per restituire alle persone che abitano in montagna un racconto più aderente coi territori dove risiedono, più vicino all’oggettività dei loro spazi di vita. L’obiettivo è raccontare queste aree con gli occhi di chi li vive ma anche di chi li studia.


Durante il festival del prossimo weekend a Trento uno dei fili conduttori sarà sicuramente l'emergenza climatica, che dal libro "Le ragazze del futuro" arriva alla serata chitarra e voce di Cristiano Godano dei Marlene Kuntz. In che relazione si trovano emergenza climatica e montagna?

È una relazione molto stretta, dato che le Alpi sono un hotspot climatico, anche se i cambiamenti climatici si stanno palesando in maniera evidente anche sugli Appennini. È sufficiente osservare le recenti alluvioni che li hanno colpiti a più riprese per rendersene conto. In montagna i cambiamenti climatici si stanno manifestando con particolare evidenza: ritiro dei ghiacciai, forti temporali, tempeste di vento come Vaia, il bostrico. È come se le montagne si facessero riflesso del clima che cambia, aiutandoci a portare alle persone degli esempi tangibili dell’emergenza climatica, causata, ahinoi, proprio dalla specie umana.


Abbiamo accennato a Cristiano Godano, ma sarà con noi anche Andrea Bettega, illustratore che, oltre a parlarci di come si rappresentano i cambiamenti climatici e la montagna, reciterà il suo monologo "Rifugio manifesto", insieme al chitarrista Nicola Cipriani. Come pensi che queste performance artistiche possano aiutarci a parlare di clima? 

Le performance artistiche possono aiutarci, così come il teatro, o il cinema. E possono aiutarci a parlare dei cambiamenti climatici, ma anche a stimolare una nuova sensibilità nei confronti del clima che cambia, e non solo. Queste forme narrative – così come sostiene il grande antropologo e scrittore indiamo Amitav Ghosh – contengono la possibilità di coinvolgere emotivamente le persone. Attraverso questo coinvolgimento emotivo è possibile stimolare il cambiamento: le emozioni possono facilitare un cambiamento sia personale che collettivo.

 

Spesso, a noi cittadini, arriva un'immagine stereotipata della montagna: boschi incontaminati, pascoli verdi, zero smog, assenza dell'uomo: un luogo dove l'ambiente può tornare a uno stato "originario" e selvaggio. In "Sottocorteccia", che hai scritto insieme a Luigi Torreggiani, il rapporto tra montagna e uomo emerge in tutta la sua complessità. Ce ne vuoi parlare?

La narrazione ancora dominante dei territori montani deriva dalla sublimazione romantica. Da quel momento in poi abbiamo iniziato a intenderli come una grande culla della natura incontaminata, quando in realtà Alpi e Appennini sono tra le montagne più antropizzate del mondo, anzi: forse le montagne più antropizzate del mondo. Spesso si tende a parlare e a concentrarsi sull’assenza antropica, quando in realtà – per una gestione più efficace del territorio, anche sul fronte ambientale – sarebbe necessario cominciare a riflettere sulla coesistenza tra presenza umana e naturale. Questa presenza umana non è sempre detto che sia pericolosa o nociva per il territorio: ci sono delle forme di gestione che, nel tempo, hanno già dimostrato di essere sostenibili. Anche in questo caso dobbiamo sempre provare a camminare in equilibrio tra le esigenze delle comunità e delle singole persone e le esigenze ambientali del presente, che devono iniziare a dettare le nostre scelte e la nostra agenda politica, altrimenti rischiamo di reiterare modelli economici - magari funzionanti in passato, in “Sottocorteccia” abbiamo parlato della monocoltura dell’abete rosso – che oggi rischiano di rivelarsi inefficaci.




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