Se i Trump - e l'ideologia bieca che rappresentano - nel mondo dilagano come acqua di un torrente esondato, forse, prima di puntare il dito contro gli elettori, bisognerebbe riflettere sull'efficacia della comunicazione scientifica.
Un'efficacia evidentemente blanda, in rare occasioni capace di superare le mura delle accademie, dove spesso rimane confinata, isolata e dunque socialmente sterile.
Di recente un glaciologo del CNR mi ha raccontato che negli ultimi tempi sta partecipando meno ai convegni universitari per concentrare le sue energie nelle scuole. "Tanti colleghi - mi ha detto - faticano a comprendere questa scelta, mi guardano con un compassionevole sorriso, ma credo sia importante scardinare i luoghi comuni prima che mettano le radici nelle persone".
Questa secondo me è la strada da seguire, perché semina la capacità di accettare il carattere complesso del mondo in cui viviamo; perché aiuta a guardare con scetticismo le semplificazioni demagogiche di una certa politica.
Ma in appoggio ai ricercatori (che non sempre hanno la possibilità di sdoppiarsi) abbiamo bisogno di bravi comunicatori e soprattutto di politici abili a rendere socialmente digeribile il linguaggio scientifico, senza tuttavia ridurne il carattere complesso. Già ci sono: supportiamoli andando a votare, perché - come sostiene l'amico Giovanni Ludovico Montagnani - "la politica è un gioco di pieni, i vuoti li riempiono gli altri".
Se la vittoria dei Trump - che, non dimentichiamolo, abbiamo anche a casa nostra - può comprensibilmente proiettare in una spirale di sconforto, allo stesso tempo dev'essere un'esortazione a rimboccarsi le maniche per rendere accattivanti politiche più umane e attente agli approdi scientifici.
immagine dal post originale su FB
Comments