Mentre Trump sta curando con estrema attenzione quella galleria degli orrori che il suo prossimo governo rappresenta, cosa fanno i democratici? Si interrogano dati alla mano per comprendere le ragioni della propria sconfitta? Preparano la strategia per i prossimi anni all’opposizione? Più o meno, si apprestano a scegliere il prossimo capo del DNC, cioè il loro comitato nazionale, in altre parole quel simulacro di struttura di partito che il Partito Democratico ha negli Stati Uniti. Non è ancora certo chi sarà il successore di Jaime Harrison, l’attuale presidente, dimessosi dopo la sconfitta del 5 novembre, ma quello che tutti i maggiorenti democratici ci tengono a precisare è che “stavolta” sarà un esponente moderato dell’ala centrista della “middle America”. Basta con le élite costiere e woke. Basta con gli estremismi.
Un ragionamento frutto di una seria analisi della sconfitta? No, quella hanno detto che la faranno dopo, quando avranno nominato il nuovo leader del partito. Come dire che prima fai la terapia, poi la diagnosi. In compenso, sui media statunitensi le analisi si sprecano, e tra i commentatori e gli editorialisti i più imputano la sconfitta di Kamala Harris - di nuovo - a un partito troppo sbilanciato a sinistra, troppo concentrato su tematiche di nicchia, sui diritti civili, su proposte assurde come il definanziamento delle forze di polizia e le politiche a favore delle persone trans, e che invece si deve concentrare sulla realtà quotidiana della “vera” America.
Considerando che la maggior parte dei candidati al Congresso ha fatto una campagna moderatissima, continuando a ribadire di non avere nulla a che fare con la cultura woke, verrebbe da chiedersi che campagna abbiano visto queste persone. Non certo quella di Kamala Harris, che durante i suoi pochi mesi da candidata si è affrettata a dichiarare, nell’ordine: di possedere un’arma, e di essere più che disposta a usarla contro chi dovesse introdursi nottetempo in casa sua; di essere più che disponibile ad aumentare le trivellazioni petrolifere e il fracking; di non avere alcuna intenzione di variare le posizioni smaccatamente filoisraeliane viste da un anno a questa parte; di voler affrontare la questione dei migranti irregolari con il pugno di ferro.
Non esattamente dichiarazioni da estremista di sinistra, quindi. Ci permetteremmo di avanzare l’ipotesi, allora, che le tante e i tanti americani che non hanno votato per i democratici forse avrebbero in effetti preferito sentir parlare d’altro, per esempio di come Harris avrebbe risolto l’enorme problema dell’aumento dei costi della vita, o a proposito di aumenti quello del salario minimo, o magari di riforma sanitaria. Se né Harris né i vertici del partito hanno saputo farlo, non si capisce per quale motivo questo dovrebbe essere imputato a questa fantomatica estrema sinistra.
Quando avranno un minuto da dedicare seriamente al perché hanno perso, potrebbe essere utile fare un giro sulle bacheche social di AOC, che - come vi raccontavamo nell'episodio precedente di questa newsletter - all’indomani del voto ha chiesto ai suoi elettori che avevano fatto voto disgiunto votando lei alla Camera e Trump alla Casa Bianca, il perché di queste scelte.
Le risposte erano per lo più legate al desiderio di votare esponenti estranei all’establishment di Washington, a quello di avere maggiore attenzione all’economia, alle perplessità rispetto a una classe dirigente dem che promette troppo e mantiene troppo poco. Molti lamentavano la connivenza degli Usa con inmassacri a Gaza. Curiosamente, nessuna menzione di esasperate politiche woke o di estremismi di sinistra. Quanto al definanziamento della polizia, c’è in effetti chi ne ha fatto un tema della sua campagna elettorale: Vivek Ramaswamy, che durante la sua breve corsa alle primarie repubblicane ha proposto, tra le altre cose, di abolire l’FBI. Solo che Ramaswamy è un repubblicano, che si appresta a fare da vice a Elon Musk nel neonato dipartimento l’efficienza governativa che vorrebbe tagliare 2mila miliardi di spesa pubblica USA.
E in effetti, allora, è proprio il momento di cambiare, finalmente. È ora di finirla con un partito ostaggio degli estremismi di sinistra. Come Jamie Harrison? Be’, no. In effetti Harrison era un esponente moderato dell’ala centrista del South Carolina. Che a sua volta era succeduto a Tom Perez un esponente moderato dell’ala centrista del Maryland. Che aveva preso il posto di Debbie Wasserman Schulz, un’esponente moderata dell’ala centrista (però lei almeno di New York).
Ciò nonostante, il cambiamento radicale di cui tutti sembrano sentire il bisogno, tra i democratici, è l’assoluta continuità. Per preparare le sconfitte di domani.
Comments