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Salario minimo, breve storia triste di fact checking

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Ieri Giorgia Meloni ha rilasciato un’intervista radiofonica in cui ha raccontato il suo anno di governo e affrontato, ovviamente dal suo contestabile punto di vista, le questioni di attualità.

Perché è triste il fact checking sul salario minimo, prima domanda del giornalista, che ne risulta?

Perché le uniche verità difficilmente contestabili che emergono dalla sua analisi, completamente errata dal punto di vista tecnico-giuridico, riguardano l’attuale opposizione.


E citiamo testualmente:

- Partiamo da un’immagine, un’immagine che troviamo politicamente parlando sui quotidiani di oggi, accanto al titolo “Bagarre” il più delle volte, che cosa è successo ieri alla Camera sul salario minimo?

- Ma guardi, alla Camera sul salario minimo è successo banalmente che noi avevamo, come lei ricorda, sul tema del salario povero in Italia dato un mandato al CNEL quindi al luogo che racchiude le categorie produttive, per studiare sia una proposta che arrivava dall’opposizione che lei sa essere salario minimo orario a 9 euro e sia se fossero invece migliori altre proposte per combattere invece questo tema, che comunque c’è, di salari italiani che negli ultimi dieci anni sono cresciuti meno della media europea. Quello che il CNEL ha detto, e che in qualche maniera è anche quello che io condivido, mettere un salario minimo orario in una nazione nella quale tu hai il 97% di lavoratori coperti da contratto collettivo nazionale in molti casi con un salario minimo orario superiore a quello previsto dalla norma dell’opposizione poteva per paradosso creare un problema, e cioè che quel parametro diventava un parametro non aggiuntivo ma sostitutivo, cioè è ovvio che se io ho una legge che dice che il salario deve essere minimo a 9 euro e ho un contratto che dice che il salario è a 10, 11 euro, ma chi me lo fa fare di sostenere il contratto, io mi adeguo al salario minimo e quindi per paradosso rischiavi di abbassare il salario di molta gente che oggi si ritrova con un salario superiore. Il problema è che però ci sono delle sacche dove il salario, anche nella contrattazione, è inadeguato, e noi abbiamo presentato, la maggioranza ha presentato un emendamento alla proposta dell’opposizione che dà mandato al Governo di risolvere il problema di questi ambiti, sono il lavoro domestico, la sicurezza privata, per esempio, e oggi, se passa, ovviamente, insomma, sul mandato che il Parlamento dà, noi ci dobbiamo occupare di contentrarci per alzare il salario di chi effettivamente ha dei salari inadeguati senza rischiare di abbassare quelli di chi ce l’ha, il salario di chi è messo un tantino meglio. Poi capisco l’opposizione, “bagarre”, insomma l’opposizione un po’ sorrido, perché obiettivamente oggi 5 Stelle PD ci dicono il salario minimo è l’unica vera cosa che va fatta in Italia, in 10 anni che sono stati al governo non gli è mai venuto in mente di farla, così devo anche dire che insomma mi incuriosisce la posizione di alcuni sindacati che vanno in piazza per rivendicare la bontà del salario minimo ma quando vanno a firmare i contratti collettivi accettano contratti da poco più di 5 euro l’ora come è accaduto di recente con il contratto della sicurezza privata, quindi, voglio dire, bisognerebbe anche essere un po’ più coerenti penso, no?


Ora, nel merito.

Prima di tutto un dato errato che distorce il dibattito, quello del 97% di lavoratori coperti da CCNL.

In realtà questa percentuale riguarda i lavoratori per cui valgono CCNL sottoscritti da CGIL, CISL e UIL, mentre solo il 3% opera con contratti sottoscritti solo da altre sigle.

Il dato proviene dalla Fondazione Di Vittorio, aprile 2023.

Ma quel che Meloni e la Fondazione Di Vittorio non dicono è che secondo INPS ci sono 4,6 milioni di lavoratori sotto la soglia dei 9 euro l’ora se non si considerano TFR e 13^, che diventano 1,9 milioni considerando TFR e tredicesima.

Quindi il dato distorsivo è ridurre a quel 3% di lavoratori la platea interessata, quando invece è una cifra che non ha nulla a che vedere con il salario povero, facendo credere che ci siano “sacche” molto limitate di persone sfruttate, e quindi che la questione si possa risolvere con interventi mirati.

Non è vero, e soprattutto si dimentica la conseguenza primaria del salario minimo (che funziona in quasi tutti i Paesi industrializzati più intelligenti del nostro) che è quella di trainare l’occupazione e quindi l’economia.

Alra considerazione palesemente inveritiera è che se si approvasse un salario minimo a 9 euro verrebbe abbassato quello di chi oggi ne guadagna 10 o 11, prima di tutto perché la normativa di cui alla proposta non lo consente.


Ma anche ammesso che un imprenditore ragionasse nel modo cialtronesco riferito dalla premier (chi me lo fa fare?) va ricordato che per cambiare un contratto bisogna essere in due, non può farlo da solo l’impresa, quindi i CCNL previgenti possono cambiare solo se li firmano anche i sindacati, altrimenti rimangono in vigore.

Quindi questo non può succedere (con la normativa vigente, poi se è in programma l’abolizione dei sindacati o della contrattazione collettiva non possiamo sapere).

Ma dove Meloni dice il vero è che mai queste attuali opposizioni, nella loro attività di governo, anche svolta insieme, hanno ritenuto prioritaria questa normativa, neppure con Conte premier e Orlando ministro del lavoro.


Il salario minimo è stato oggetto di proposte autonome e diverse fra loro (quelle del PD ad esempio riguardavano solo chi non era coperto da CCNL), usate solo per attaccarsi reciprocamente, su cui mai si è trovata convergenza, mai si è arrivati alla discussione parlamentare, mai se ne è discusso in Consiglio dei Ministri.

Però adesso è diventata (con una retorica di guerra che si potrebbe evitare, visti i tempi, e i morti, che corrono) la battaglia campale dell’opposizione, e questo per un ovvio motivo politico: è l’unico tema dove sono riusciti a mettersi d’accordo.

E non è un bilancio esaltante.


La seconda triste verità riguarda i sindacati, perché è drammaticamente vero che ci sono CCNL a 5 euro l’ora e che i lavoratori interessati, per ottenere “una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”, art. 36 della Costituzione che vale anche per Meloni, si sono dovuti rivolgere ai giudici del lavoro e finire in Cassazione.

Di fronte a questi argomenti, è evidente come Meloni non faccia molta fatica a risultare credibile anche se distorce la realtà, e quindi a mantenere fermo il suo consenso anche da parte di quelli fra i suoi elettori che avrebbero disperato bisogno del salario minimo.

Perché in questo momento, duole dirlo, non fa fatica a dimostrare la scarsa coerenza e credibilità di chi chi la contesta, che paga anni di governo a tutti i costi pur di galleggiare quanto alla parte politica, e di resistenza conservatrice ad un cambiamento per la paura immotivata di perdere la propria funzione contrattuale quanto alla parte sindacale.

Con il rischio concreto che Meloni rimanga dov’è per molto tempo, mangiandosi gli oppositori a colazione e sorridendo serafica.

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