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Immagine del redattore Paolo Cosseddu

Se la banana non ce l’hai


Milliped, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

C’è grande agitazione del mondo dell’arte, della cultura e della vendita di beni al dettaglio, da quando Donald Trump ha (ri)vinto le elezioni americane. Dopo anni di dominio incontrastato della cultura woke (sic!), torme di dirigenti delle piattaforme di streaming e creativi delle agenzie pubblicitarie sono immersi in brainstorming non-stop, rifocillati solo dal periodico approvvigionamento di dim sum ordinati via app di delivery, cercando di capire come tornare più velocemente possibile ai cari vecchi tropi patriarcali.

 

Che fare per il Natale ormai alle porte, per mettersi in scia con il nuovo sentiment globale maschilista, negazionista, nazionalista, razzista? Gli spot con le famiglie etniche, quelli non si possono più fare. Di coppie gay che si baciano teneramente neanche a parlarne. Mamme o papà single, afuera! Principesse, animaletti antropomorfi, supertizi in calzamaglia e fiabe mitteleuropee vanno immediatamente riconvertiti, sbiancati, rieducati. Basta con le persone piccole, richiamate i nani, e avvisate l’Academy che a inizio 2025 deve vincere come minimo un film di cowboy, e no, non di quelli che si baciano tra loro, uomini veri, forti, che sputano per terra. Richiamate i copy, fategli rifare in fretta e furia le pubblicità natalizie: magari non proprio mettendoci un marito che mena la moglie, quello magari l’anno prossimo, vediamo come evolve la situazione, per ora basta metterla in cucina a spadellare in guêpière mentre il marito rientra in completo e valigetta e si fa servire un Martini con l’oliva.

 

Ma fate presto, altrimenti potrebbe capitare la stessa sciagura che in questi giorni ha investito Jaguar, colpevole di aver scelto proprio questo momento per lanciare una campagna di rebranding all’insegna della diversity, con modelli e modelle di colori assortiti, e sfortunatamente non solo negli sgargianti vestiti. I social si sono rivoltati in un lampo: la campagna col peggior tempismo di sempre, ha scritto qualcuno. E altri sono stati anche più diretti: non avete capito niente, è finita la pacchia, è tornato l’uomo bianco col Burberry! Che poi a dirla tutta non se ne era mai andato, ma sono dettagli. Ok, la campagna è davvero bruttina, e l’obiezione più sensata è quella che fa notare che non si vede nemmeno un’auto: qualcuno ha pensato di rimediare, e ha postato l’immagine di una Jaguar con di fianco una gnocca in abito succinto e tacchi come trampoli. Del resto, il ragionamento è: chi volete che se le compri, le auto di altissima gamma? Uomini bianchi, magari di una certa età, a cui piacciono le donne in quanto oggetti sexy, ecco chi. Tipo Donald Trump, appunto. Che poi non è che in questi ultimi anni il mercato delle supercar sia stato esattamente dominato da acquirenti afrodiscendenti fluidi, ma tant’è.

 

In parallelo al contestato rebranding di Jaguar, però, è uscito anche lo spot natalizio di Volvo, diretto da Hoyte Van Hoytema, già direttore della fotografia di Interstellar e Oppenheimer, mica ciccioli: è la storia di una coppia (etero) che scopre di aspettare un bambino, anzi una bambina, e il padre si fa tutto un film mentale sulla figlia che arriverà, che crescerà, che gli regalerà momenti bellissimi, mentre la moglie (non la compagna, proprio la moglie, non scherziamo), sta attraversando la strada quando un’auto sembra quasi che stia per arrotarla. Ma siccome l’auto è una Volvo, e la Volvo è molto sicura (lo sanno tutti), riesce a frenare e la futura mamma si salva. Una roba di una banalità stordente, ciò nonostante accolta nel tripudio generale. Volvo era tra le non molte case automobilistiche ad affrontare questa fase di mercato molto complicata con un pizzico di serenità, perché è tra i pochi marchi europei che ha investito per tempo nella transizione verso i motori elettrici: recentemente, però, l’annunciato obbiettivo di vendere esclusivamente elettrico entro il 2030 è stato ridimensionato, preferendo continuare a portare avanti almeno i modelli ibridi. E comunque, nello spot si sottolinea la sicurezza, mica la sostenibilità, quella ha un po’ rotto, ecco.

 

Brava Volvo: è lo spirito dei tempi, baby, o forse solo un riflusso. Un ritorno all’immaginario di Mad Men, la storica serie tivù in cui uomini in giacca e cravatta fumavano e bevevano forte mentre decidevano cosa la gente dovesse pensare, e soprattutto comprare, dando pacche sul sedere a donne che al massimo potevano fare le segretarie e possibilmente finire a letto con loro. Le cose sono sempre andate così e devono tornare ad andare così, e pazienza che le prime campagne United Colors di Oliviero Toscani per Benetton fossero di ben 40 anni fa: si sa come sono gli artisti, anche uno attento come Maurizio Cattelan, la cui banana attaccata al muro è stata venduta nei giorni scorsi per oltre 6 milioni di dollari, può ritrovarsi leggermente disallineato. Insomma, la banana va bene, ci mancherebbe, ma se proprio avesse voluto interpretare lo zeitgeist avrebbe fatto meglio a usare una melanzana.

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