Il Sole24Ore di oggi ha dedicato la sua terza pagina alla questione delle terre rare e la loro centralità sullo scacchiere geopolitico mondiale. Il primo dei due articoli, entrambi molto interessati e che vi consigliamo, riporta quanto discusso nel trilaterale tra Germania, Francia e Italia appena tenutosi a Berlino e in cui il ministro Urso e i suoi colleghi tedesco e francese hanno siglato un accordo strategico riguardo a materiali come cobalto, litio, tungsteno ed altri, «per accelerare e sostenere nella Ue l’autonomia strategica, l’approvvigionamento sicuro, l’indipendenza nelle catene di valore che devono essere sostenibili ed economiche». Il secondo dedica ampio spazio alle dichiarazioni di Mike Pompeo, ex capo della CIA ed ex Segretario di Stato americano - durante la presidenza Trump - e attualmente a capo della US Rare Earth, la più grande compagnia statunitense che si occupa della catena delle terre rare, che durante il vertice mondiale della propria categoria, tenutosi nei giorni scorsi a Barcellona, ha lanciato un monito al nostro continente: «L’Europa deve assumersi le proprie responsabilità geopolitiche sulla svolta ambientale: non è tollerabile che per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione, si continuino a utilizzare minerali rari e tecnologie che arricchiscono paesi comunisti e regimi dittatoriali».
Mentre negli altri paesi occidentali è un tema da anni di importanza critica, al punto che vediamo in prima fila nella questione una figura di primissimo livello nel sistema di potere statunitense come Pompeo, la questione delle materie prime indispensabili alle nuove tecnologie, del loro reperimento, della loro catena di approvvigionamento, è una questione di cui solo ora nel nostro paese si comincia a discutere con la dovuta attenzione, prova ne sia che il quotidiano di Confindustria è l'unico a dedicare a questi due vertici uno spazio così importante sulle sue pagine.
Manca però totalmente, e non certo per una disattenzione dei giornalisti del Sole, un elemento centrale, in entrambi i vertici di cui sopra. Abbiamo visto protagonisti politici di destra (Urso e Pompeo), di centro (Le Maire), di sinistra (Habeck), dagli Stati Uniti all'Europa, dal nord al mediterraneo, confrontarsi sul tema, e non una parola sul prezzo enorme pagato dalle popolazioni dei paesi dove queste terre rare sono estratte, in condizioni umane ed ambientali deplorevoli.
Come denunciato in Rosso cobalto, che da qualche settimana abbiamo pubblicato con People, è il sangue del Congo, dove si estrae il 75% del cobalto mondiale, e buona parte delle altre materie citate, a dare energia alle nostre vite. E se la questione del sostanziale monopolio cinese sulla filiera di questi minerali di importanza fondamentale dovrebbe preoccuparci tutti, non possiamo limitare la discussione a una mera corsa alla difesa ciascuno dei propri interessi nazionali o continentali.
Nei prossimi anni, infatti, per quanto si possano trovare nuovi giacimenti, per quanto si possa spostare la produzione strategica rendendoci più indipendenti dal mercato asiatico, ben poco cambierà per chi ogni giorno scava alla ricerca di cobalto (e delle altre terre rare) al prezzo della propria salute quando non della propria vita. E sono migliaia di bambine e bambini, di donne, di uomini sulle cui sofferenze si regge l'intera catena di approvvigionamento che arriva dritta dritta non solo sui tavoli dei nostri governi, ma nelle nostre tasche e sulle nostre scrivanie, con gli smartphone, i tablet e i computer che usiamo ogni giorno - per non parlare di auto elettriche, pannelli fotovoltaici, turbine eoliche e molto molto altro.
E i moniti che vorremmo vedere non sono tanto quelli dall'industria estrattiva ai governi europei, quanto piuttosto il contrario, allargando la discussione alle grandi compagnie hi-tech: cosa stanno facendo per il rispetto dei diritti umani, dei diritti del lavoro, dell'ambiente, negli stati dove quelle terre rare sono estratte?
In Rosso cobalto, Siddharth Kara ricostruisce molto chiaramente come quello delle terre rare sia solo l'ultimo anello di una catena di sfruttamento che da oltre un secolo tiene inchiodata la popolazione del Congo a una schiavitù prima conclamata e oggi di fatto. E di cui l'occidente porta la gran parte del peso morale, che oggi condivide con la Cina.
Se un nuovo protagonismo atlantico deve esserci sullo scacchiere mondiale, davvero deve essere ancora una volta improntato a una corsa al bottino da strappare a un altro predatore? Davvero deve essere una gara a chi ha gli artigli più affilati e più saldamento conficcati nella carne viva del sud del mondo?
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