Ieri Donald Trump ha finalmente rivelato cosa pensa della questione dell’aborto e dei diritti riproduttivi delle donne. Dopo una settimana di annunci roboanti sulle dichiarazioni decisive che l’ex presidente avrebbe finalmente condiviso con il popolo americano, la montagna - che la gravidanza fosse desiderata o meno - ha partorito un topolino. Già, perché di fatto il candidato alla Casa Bianca dei repubblicani se n’è lavato le mani. «Ora la decisione spetta ai singoli stati, come secondo me avrebbe sempre dovuto essere», ha dichiarato alla nazione. «Fate un po’ voi come vi pare», in sintesi.
La posizione di Trump sorprende solo in parte, e per due motivi. Il primo è che l’atteggiamento del palazzinaro del Queens è sempre stato ambivalente, sul tema. Nel 1999, quando per la primissima volta aveva paventato un ingresso in politica, si era dichiarato «decisamente pro-aborto», mentre nel 2011, quando ha cominciato la lunga marcia che lo avrebbe portato cinque anni dopo alla Casa Bianca, si era definito «pro-vita, per farla breve». Da allora, si è di fatto sempre rifiutato di pronunciarsi sul tema, anche se si è vantato molte volte di essere l’autentico artefice della decisione del 2022 con cui la Corte Suprema ha annullato gli effetti della storica sentenza Roe v. Wade e rimesso ai singoli stati la potestà legislativa in materia di interruzione di gravidanza.
Da allora, sono ben 21 gli stati USA in cui è estremamente difficile, quando non impossibile, abortire, spesso anche in casi estremi che riguardano stupro, incesto, o condizioni mediche che mettono a repentaglio la vita della madre. Una decisione che ha avuto enorme impatto sulla vita di milioni di donne statunitensi, migliaia delle quali si sono trovate nelle condizioni di doversi mettere in viaggio per centinaia di km per poter raggiungere uno stato che garantisse loro l’accesso ai trattamenti sanitari di cui avevano bisogno.
Una situazione che ha paradossalmente reso un problema politico la vittoria di questa che era una battaglia per i repubblicani. Nonostante l’inasprirsi in moltissimi stati, come abbiamo visto, delle restrizioni sul diritto di scelta delle donne, mai come oggi la questione è diventata un terreno di scontro perdente per il partito dell’elefantino, al punto che molti analisti e lo stesso Trump attribuiscono proprio alla questione dell’aborto le sconfitte subite nelle ultime tornate elettorali. Il che spiega la decisione di Trump di lavarsene sostanzialmente le mani, nel tentativo di neutralizzare la questione del diritto di scelta delle donne americane come argomento elettorale in vista delle elezioni del novembre prossimo.
E qua veniamo al secondo motivo per cui questa posizione vagamente “pilatesca” non dovrebbe sorprenderci. È piuttosto evidente che Trump non ha alcun motivo etico o alcuna convinzione di carattere religioso per dichiararsi contrario all’aborto. A lui, con ogni probabilità, dell’intera faccenda frega ben poco. Ma se non vuole alienarsi completamente l’elettorato delle aree del paese convintamente pro-aborto, non può rinunciare al sostegno delle frangie ultra-cristiane che proprio in virtù delle promesso fatte loro su temi come questo lo hanno sostenuto così convintamente e con un ruolo così decisivo.
Nel libro “Corpi sotto assedio” la giornalista Siân Norris descrive in maniera molto precisa come l’attacco ai diritti delle donne sia il vero collante del patto di ferro che da qualche anno a questa parte unisce i gruppi di estrema destra con le frange più estreme dei movimenti religiosi non solo negli USA, ma anche nel Regno Unito e in Europa - Italia compresa. Una patto fondato sulla repressione dell’autodeterminazione femminile basato per gli uni su un’idea distorta di ordine naturale che giustifica il suprematismo bianco e maschile che professano, per gli altri sul’interpretazione estremista di dogmi religiosi retaggio di un passato che non intendono lasciarsi alle spalle. E, come ci mostra Norris nel libro, il ruolo delle fondazioni e dei gruppi di attivismo di stampo cristiano è decisivo nel dare quella patina di “presentabilità” e “rispettabilità” di cui l’estrema destra aveva enorme bisogno presso l’elettorato conservatore e non solo.
Che poi è esattamente ciò che è avvenuto nel 2016 con Trump, che proprio in virtù del sostegno dei potentissimi gruppi evangelici che spopolano in particolare negli stati del sud e del centro degli USA è passato dall’essere una macchietta sostenuta da impresentabili di ogni risma a un candidato alla presidenza non solo credibile, ma vincente.
Oggi Trump si trova nella difficile situazione di avere ancora bisogno di quel patto di ferro e dei voti che porta con esso, ma di rischiare di perderne altrove. Perché lui è stato ormai purtroppo normalizzato, ma le idee orribili che glielo hanno permesso non ancora del tutto.
Facciamoci caso, nel guardare alle prossime elezioni europee, perché come testimonia “Corpi sotto assedio”, lo stesso patto si sta consumando anche nel nostro continente, e ancora una volta è sulla carne viva delle donne, che viene siglato.
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