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  • Immagine del redattoreSilvia Cavanna

Un appello per salvare la sanità pubblica

 



 

Il sistema sanitario italiano mostra inequivocabili segni di crisi e occorre intervenire con finanziamenti adeguati prima che sia troppo tardi. È questo, in sintesi, quello che si evince dall’appello a difesa della sanità pubblica lanciato da 14 tra i maggiori scienziati italiani, fra i quali il premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi.

 

Il padre di tutti i problemi, come spesso accade, è di carattere finanziario: le nuove e più costose tecnologie, l’invecchiamento della popolazione, gli stravolgimenti causati dalla recente pandemia, l’inflazione e le difficoltà dei conti pubblici, uniti alla tendenza a considerare sempre la sanità come il settore sul quale effettuare risparmi, hanno reso il SSN fortemente sottofinanziato. Soprattutto se paragonato agli altri grandi Paesi europei.

Secondo quanto previsto nell’ultima legge di Bilancio, la spesa sanitaria rapportata al PIL, dal già basso 6,6% del 2023, calerà al 6,3% nel 2024, per poi scivolare inesorabilmente verso il 6% negli anni successivi. Valori che rendono impietoso il confronto con i nostri vicini: in Germania si spende in sanità il 10,9% del Prodotto interno lordo, in Francia il 10,1%, nel Regno Unito il 9,3%. E, per dare una misura alla questione, la differenza rispetto alla media europea (che si attesta al 7,1%) corrisponde a circa 20 miliardi di euro.

È dunque necessario, si legge, “un piano straordinario di finanziamento del SSN”, dove le risorse siano impiegate con efficienza e appropriatezza – in altre parole: dove serve e senza sprechi.


E poiché la cura è, prima di tutto, una questione di relazioni e di accoglienza, serve personale formato, valorizzato, motivato, e in numero adeguato, e serve operare un ammodernamento strutturale, tecnologico e di messa in sicurezza dei presidi sanitari. Perché il settore soffre di una forte carenza di organico, che non può essere compensata soltanto con aumenti salariali e turni lavorativi extra, e perché l’ospedale è luogo di cura, ma anche di solidarietà e di salvaguardia della coesione sociale.

Serve recuperare la dimensione territoriale dell’assistenza, quella capillarità persa in decenni di accentramenti, restituendo valore alle comunità e rendendo i servizi raggiungibili e accessibili anche a chi è più fragile o non autosufficiente. Anche perché la popolazione italiana sta invecchiando, calano le nascite e l’età media aumenta: secondo gli ultimi dati Istat, ad inizio 2024, il numero di ultraottantenni ha superato quello dei bambini con meno di 10 anni. Come si legge nell’appello, “il problema non è più procrastinabile”.

Serve destinare specifiche risorse per rimuovere gli squilibri territoriali e per ridurre il divario fra Nord e Sud del Paese, contrastando le richieste di maggiori autonomie regionali, affinché il diritto alla salute non diventi un privilegio legato al luogo di residenza.

Serve investire in prevenzione e serve un approccio globale alla salute, perché “la salute si tutela in tutte le politiche, da quelle industriali a quelle agricole, da quelle urbane a quelle relative alla mobilità”.

 

Salvare la sanità pubblica è una questione economica, quindi. Ma ancor prima è una questione politica e culturale: occorre comprendere quanto un sistema sanitario universale e solidale come il nostro sia l’unica vera garanzia di equità, di contrasto alle disuguaglianze, di tutela del diritto alla salute e della coesione sociale. Abbiamo ricevuto in eredità un patrimonio che spesso diamo per scontato, “mantenerlo efficiente e in buona salute è un dovere morale verso le prossime generazioni”.

 

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