Il Consiglio dei Ministri n. 76 ha appena approvato il Documento di Economia e Finanza, l’ultimo - perché la riforma del Patto di Stabilità ne ha cambiato nome e forma - ma certamente il più discusso e discutibile: sostanzialmente un DEF rimandato a settembre. In buona sostanza il documento della programmazione economica non contiene la programmazione economica. Un approccio, ha spiegato Giorgetti in conferenza stampa, «concordato con Bruxelles». Spiega il ministro che il DEF è stato approvato «in un contesto di rivoluzione delle regole europee. In sede europea è stato deciso che il 20 di settembre va presentato il nuovo documento fiscale. La nostra volontà è presentarlo anche prima del 20 quando saranno disponibili tutti gli elementi» (fonte La Stampa). Sarà, ma nel frattempo regna l’incertezza: tra politiche fiscali estremamente generose e di stimolo alla sottodichiarazione se non all’evasione, la ventilata ulteriore riforma a tre aliquote dell’IRPEF, la volontà di riproporre per il 2024 il taglio del cuneo fiscale, l’abisso nei conti pubblici creato dal superbonus, ci aspetta un settembre al cardiopalma specie se in Europa prevarrà l’ala conservatrice delle Destre, la parte che riferisce ai falchi del rigore di bilancio. Dove trovare le coperture in un contesto di riduzione del rapporto deficit/PIL come appunto tracciato nel DEF (2024: 4,3%; 2025: 3,7%; 2026: 3%)? Giorgetti giura e spergiura che non sarà necessaria una manovra correttiva, ma tant’è, sarà difficile rispettare le tante promesse fatte ai contribuenti.
Il governo stima poi una crescita solo dell’1%, in contrazione rispetto all'1,2% indicato nella NADEF di settembre 2023. Il rapporto debito/PIL è indicato al rialzo sia per il 2025 che per il 2026 (2024: 137,8%; 2025:138,9%; 2026: 139,8%), in aperta contraddizione con quanto scritto nella nota di aggiornamento, quando invece era previsto al ribasso fino al 139,6% (dal 140,1 iniziale). Non è comprensibile come il governo possa presentare questi numeri alla Commissione senza esporsi alle sue critiche. Con il nuovo Patto di Stabilità, i paesi con debito elevato devono proporre un piano di aggiustamento (fiscale e strutturale) di durata quadriennale e il rapporto debito/PIL deve essere indirizzato su un percorso “ragionevolmente decrescente”. Come intende giustificare questo approccio il ministro Giorgetti? Non potrà certo nascondersi dietro a previsioni macro «assai complicate in un quadro internazionale e geopolitico altrettanto complicato», come ha detto ai giornalisti.
La sostenibilità dei conti è oltretutto messa in gioco dall’ennesima riforma dell’IRPEF volta alla riduzione delle aliquote (da quattro a tre) e al suo progressivo avvicinamento al modello iniquo della Flat tax. Il viceministro Leo ha parlato di somme già accantonate «legate all'eliminazione dell'Ace e all'introduzione della Global minimum tax», e che l’eventuale “differenziale” potrà essere coperto con i risultati (molto incerti) del concordato preventivo. Per il resto si profilano ulteriori tagli di spesa che - statene certi - interesseranno la spesa sociale, ossia quella per sanità e scuola pubblica. E mentre esplode nuovamente il prezzo della benzina, il ministro alza le mani: non è una decisione del governo. Del resto non era lui a chiedere il taglio delle accise.
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